
Rieccoci tra i riflessi di un’altra parola, pietà. Parola che, se cercata su Google, ci mostra subito la famosa statua di Michelangelo, capolavoro giovanile che raffigura Maria – la madre – con in braccio il figlio deposto dalla croce, sul monte Golgota. Lo tiene in braccio, ne appoggia il corpo esanime sulle gambe, accostato al quel velo dalle innumerevoli pieghe. Sembra farne mostra agli astanti. La Madonna è giovanissima, quasi in contraddizione al suo ruolo di madre di un umo trentenne, quasi ne fosse la compagna, la sposa di Cristo e della Chiesa. Non ne ebbe pietà (dell’opera) un turista ungherese nel 1972 che la vandalizzò a colpi di martello, gridando che il Cristo era risorto e che era lui stesso. Un iconoclasmo delirante e impietoso che deturpò non poco l’opera.
Se cercata invece sul dizionario (Treccani) si legge: sentimento di affettuoso dolore, di commossa e intensa partecipazione e di solidarietà che si prova nei confronti di chi soffre. Ed è esattamente il lampante motivo per cui questa parola compare qui oggi, nel 2025. Mi toccherebbe credere, da quel che vedo e che fra poco vedremo insieme, che non ci sia spazio per questa parola e in effetti non si sente più nel linguaggio pubblico, parrebbe quasi un tabù. Quasi come si usava nelle espressioni un po’ adolescenziali mi fai pietà, un sentimento da cancellare. E in effetti più questa rubrica andava avanti, più mi interessava scrivere di questa parola e più vedevo che non ci stava proprio da nessuna parte questa parola. Non c’è spazio per la pietà. Non v’è spazio nei social dove dobbiamo fornire immagini di noi stessi vincenti, in preda a vacanze in posti “top”, a fare esperienze che gli altri possano (bonariamente o non) invidiare. Non v’è spazio nel linguaggio politico che va polarizzandosi. Non v’è spazio, ovviamente dove ci stanno le guerre. O almeno non v’è spazio tra chi le guerre le telecomanda dai propri seggi di potere. Non v’è stato spazio – e mi pare che non prender parte è ancora un retaggio vigliacco – durante la pulizia etnica che Israele e il suo governo di destra ha condotto a Gaza. Sono morti migliaia di civili, migliaia. Di questi tantissimi bambini. Proprio pochi giorni fa cinque neonati sono morti di freddo. Di freddo, Cristo! (a proposito di pietà) e niente muove a compassione, a pietà. L’occidente, noi, rimaniamo chiusi nella nostra bolla di benessere e facciamo finta che le cose vadano bene così.
La pietà è di chi si indigna. Chi ha perso questa capacità, difficilmente potrà empatizzare. Non v’è pietà, infine nei video da squallido palazzinaro di Trump che delle macerie di Gaza ne vuole fare una riviera. Non v’è pietà nei soldi, nell’arricchimento a tutti i costi.
Allora mi tocca – e lo faccio con piacere, almeno egoisticamente – andare indietro, per rintracciare un bell’esempio di pietà, anzi di pietas. Sono passati dieci anni di guerra, Troia è in fiamme (anche secondo tutte le iconografie dei libri di ragazzi peraltro) e un giovane eroe troiano che sta dalla parte degli sconfitti, sta per farsi profugo. Deve fuggire dalla sua patria, dalla sua gente. Non rinuncia a portare con sé il vecchio padre Anchise, che caricherà sulle spalle (anche qui, quanta iconografia!), il figlioletto Ascanio e le divinità protettrici della famiglia e della Patria, i Penati. La sua pietas non sta solo nell’aver salvato la sua famiglia, lo avreste fatto anche voi, mi direste. Enea è un eroe molto diverso dagli eroi omerici, almeno come ce lo racconta Virgilio. E’ un uomo intriso di devozione, non solo verso gli dèi, ma anche verso gli uomini. Ha uno spiccato senso del dovere. E’ un esule che quindi va alla ricerca di un mondo migliore, ma è anche un eroe-padre, padre dei Romani e della loro civiltà. Scendo un po’ nel particolare e mi faccio aiutare da Traina e dall’Enciclopedia Virgiliana (ebbene sì, esiste una cosa del genere), ma ne parafraso largamente l’insegnamento. La pietas di Enea non è soltanto purezza (gli eroi difficilmente sono esclusivamente puri), ma è commista al senso del dovere che l’avvicina leggermente alla caritas (la carità) e alla misericordia (misericordia) ed è la pietas nei confronti del pari o del più debole, dell’uomo riconosciuto simile. In qualche modo al centro di quest’asse immaginario c’è la iustitia (giustizia) intesa come fare l’azione giusta non solo per sé, ma per la collettività, guardando al bene futuro. Infine, un ultimo importante pezzo di questa pietas è la fides che soddisfa i doveri verso gli dèi. La pietas è insomma un universo dentro al quale si muove Enea nella sua missione e nella sua nuova vita da esule che ha perduto tutto. Ma, soprattutto ci ricorda Traina, la pietas è un sentimento, un’affettività. Roma si discostò molto nella sua prassi politica da questo valore che riteneva parte delle sue fondamenta, così come (gioco a fare il Pindaro trapezista) gli Stati Uniti si stanno allontanando tanto pericolosamente dai valori di libertà che ne hanno costituito la fondazione. Eppure allora c’era un Virgilio che lo ricordava a voce alta. Adesso chi c’è?