Di verità d’amore e d’altre cose o della poesia 2.0

*in copertina – detail from Eadweard Muybridge, Animal Locomotion: an Electro-Photographic Investigation of Connective Phases of Animal Movements, 1887.


In un famoso libro dal titolo italiano I quaderni di Malte Laurids Brigge, il poeta Rainer Maria Rilke racconta, tramite il protagonista Malte, le ultime ore di vita di un poeta francese – tale Fèlix Arvers -, e scrive così:

Fu nell’ospedale. Egli moriva in modo leggero e pacato, e la suora credette forse che già fosse più avanti nella morte di quanto era in realtà. Ella gridò forte un’istruzione: dove trovare tale e tal’altra cosa. Era una suora non molto istruita; non aveva mai visto scritta la parola «corridoio», che in quel momento non poteva evitare; accadde quindi che pronunciasse «collidoio», convinta che si dicesse così. Allora Arvers differì la sua morte. Gli sembrò necessario, prima, chiarire. Divenne perfettamente lucido e le spiegò che si dice «corridoio». Poi morì. Era un poeta e odiava il press’a poco; o forse gli importava soltanto la verità; o gli dava fastidio portarsi dietro come ultima impressione il fatto che il mondo proseguisse con tanta trascuratezza. Non lo si può più stabilire, ormai. Solo non bisogna credere che fosse pedanteria.

trad. di Furio Jesi

Il poeta morente è spinto da un irriducibile impulso: non gli interessa essere saccente, bensì restituire complessità e consapevolezza. Che cos’è, dunque, la poesia, e il poeta suo emissario, se non tensione assoluta verso la verità – religiosa e minimale propensione alla complessità? 

Secondo Eugenio Montale – lo scriveva in un articolo del 1953 -, D’Annunzio era l’ultimo poeta commentabile della nostra letteratura, ma possiamo con fervore affermare che non è esattamente così. Non lo era allora, figuriamoci oggi. Per bene interpretare la situazione della poesia 2.0, è necessario guardare alle individualità – a tutte quelle personalità eterogenee che creano, tra riflessioni dolenti, sperimentalismi estremi e ritorni alla tradizione, un panorama ricco e vario, in gran parte ancora da scoprire. Privilegiare le individualità rispetto alle tendenze generali (come si faceva fino agli anni ‘80) significa centuplicare le voci; vuol dire che osserviamo le mutazioni e mutilazioni del XXI secolo – epoca proteiforme e sfaccettata -, da innumerevoli punti di vista, incluso quello geografico. A proposito di questa pluralità, mi vengono in mente le parole di Giovanni Raboni, il quale sosteneva che la poesia, in sé, non esiste se non nelle parole dei poeti. Raboni – cercatore indefesso di poesie – sull’«Approdo letterario» di aprile/giugno 1963, scriveva: 

Alle volte mi domando se non sia venuto il momento, ormai, di parlare della poesia che si fa, che si sta facendo e non più, o non soltanto, della poesia che si dovrebbe fare. Lo so che è difficile: la tendenza ad affrontare l’argomento in termini profetici o precettistici è così diffusa, così radicata, che sfuggirvi costituisce un grosso problema, e non soltanto di coscienza. […] Ma insomma, con tutte le riserve e i sospetti del caso, questa esigenza c’è, mi sembra, e si avverte: l’esigenza, dico, di ristabilire la direzione normale del rapporto tra poesia e discorso sulla poesia; di partire dall’oggetto e non dalla profezia dell’oggetto; l’esigenza, ecco, di riattaccare i buoi davanti al carro.

Nonostante la poesia sia stata – e, in parte sia tuttora – una malattia troppo pudica perché se ne spiattellassero in piazza i segreti, nonostante ciò e senza voler trarre da singole vicende delle generiche conclusioni, mi accodo a Raboni e dico a gran voce: ripartiamo dall’oggetto e non dalla profezia dell’oggetto.

La poesia non è morta. Mutevole bestia, ha cambiato i suoi connotati – sono mossi questi neopoeti da una profonda volontà di figurazione, dalla necessità di compromettere la stabilità della propria espressione servendosi di continuo del parlato e della pura materia. La poesia che si fa è altamente compromessa dalla molteplicità del reale e dalle sue asprezze. 

Regina indiscussa della quota espressiva contemporanea è la spoken word – un tipo di poesia orale, che attraverso un dialogo o monologo, racconta storie. Spesso può essere improvvisata ed accompagnata da elementi multimediali come la musica e la danza.

Lui è Giuliano Logos ed è stato protagonista e vincitore della XV edizione della Coppa del Mondo di Poetry Slam, tenutasi dal 10 al 16 maggio 2021 a Parigi. Giuliano è poeta, scrittore, rapper pugliese trapiantato a Roma e cofondatore del collettivo artistico WOW – Incendi Spontanei. Giuliano, il maneskin della poesia, è la voce da ascoltare. 

Ma cos’è un poetry slam?

Si tratta di un evento che celebra l’arte della poesia. Funziona così: gli slammers, ovvero i partecipanti, hanno a disposizione tre minuti per recitare una loro poesia; i due turni preliminari sono seguiti dalla finale alla quale accedono i due slammers con il punteggio più alto. La giuria è scelta a caso dal pubblico ed è composta da cinque membri che assegnano un voto da uno a dieci. Il voto più alto e quello più basso vengono esclusi, e la somma dei voti rimanenti determina il punteggio finale. L’evento inizia con un sacrificio, ovvero una poesia non competitiva, il cui obiettivo è scaldare il pubblico e istruire la giuria sul processo di valutazione.

Così come per il rap, anche il poetry slam nasce dall’ambiente di strada. Molte esperienze sperimentali di spoken word, poesia performativa e anche raccolte alla vecchia maniera di poesia scritta sono state influenzate dal poetry slam, sostenute da organizzazioni nate in questo contesto come LIPS e da collettivi di artisti in tutta Italia. 

Già da molti anni una straordinaria poetessa italiana dà valore e visibilità alla forma orale della parola poetica. Mi riferisco alla bravissima Mariangela Gualtieri – così scrive nel suo ultimo lavoro sulla poesia, L’incanto fonico. L’arte di dire la poesia:

Questo ci tocca: liberare nell’aria il verso, trovare la sua forma sonora. Incanto fonico si chiama.

Gli astanti silenziosi tutti. In un appena del respiro. Ognuno apre sua stanza del tesoro, teso ognuno in ascolto pericoloso. Voce al verso. Immersi tutti in un unico bagno acustico. Incanto fonico si chiama.

Come si tengono insieme gli umani dentro il suono delle strane parole. Come sono ognuno solo solo eppure vicino di cuore, vicino di respirante polmone.

Esponenti di spoken word ce ne sono in tutto il globo terracqueo – nel Regno Unito ad esempio, l’artista queer Kae Tempest è tra i più importanti.

Inutile ricordare come la pratica della poesia performativa affondi le sue radici nell’epoca beatnik, ed abbia avuto numerosi guru – il più famoso di tutti Allen Ginsberg -, e numerosi santuari tra San Francisco New Orleans New York. Per esempio, il Nuyorican Poets Cafè.

Ma questa è un’altra storia – adesso che i buoi sono nuovamente davanti al carro, non ci resta che vedere dove ci porteranno. 

Ogni anno il 21 marzo si celebra la Giornata Mondiale della Poesia – una delle forme di espressione culturale identitarie dell’umanità. La celebrazione, istituita dall’UNESCO per la prima volta il 21 marzo durante la sua 30a Conferenza Generale a Parigi nel 1999, ha l’obiettivo di sostenere la diversità linguistica attraverso l’espressione poetica e aumentare le opportunità per le lingue in pericolo di essere ascoltate. 

Nella città di Zirma amiamo molto tutte le espressioni poetiche – restate connessi. 

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