Negli ultimi anni sono sempre di più i remake di film o le serie tv ambientate negli anni ’80. Stranger Things fa da padrona su Netflix, Tom Cruise è tornato a vestire il ruolo di Pete Mitchell in Top Gun: Maverick, i Ghostbusters hanno commosso gli spettatori di tutto il mondo con l’attesissimo Ghostbusters Legacy e a giugno Harrison Ford tornerà al cinema con il quinto capitolo della Saga di Indiana Jones. Complice il fatto che alcune pellicole cinematografiche siano sempre degli evergreen o che gli anni ’80 siano diventati ormai un cult sia nelle generazioni a loro più prossime che in quelle odierne, fatto sta che sembra proprio esserci un nuovo e prepotente ritorno ai gusti e alle mode di quell’epoca. Quasi come se tutti fossimo passeggeri – insieme a Marty McFly e lo strampalato Doc Emmett Brown – della mitica Delorean di Ritorno al Futuro e facessimo continui viaggi fra passato e presente.
Ma come hanno fatto gli anni ’80 a diventare così popolari ed iconici da fungere da modello e fonte di ispirazione per i primi anni del 2020, nonostante i tanti cambiamenti, le rivoluzioni culturali ed un mondo completamente diverso da quello del loro tempo? Per comprenderlo non bisogna dimenticare che, pur con tante contraddizioni intrinseche, quello degli anni ‘80 è stato un decennio di enormi trasformazioni. Trasformazioni rese possibili sia di grandi momenti di ottimismo, ma anche di un certo pessimismo cui proprio cinema, televisione, musica ed arte sono stati i maggiori interpreti.
Mentre al cinema uscivano capolavori come Shining e Nightmare o del genere Fantasy come Labyrinth e La storia infinita, anche l’arte e la moda erano in continuo mutamento. Le capigliature si facevano sempre più cotonate, gli abiti sempre più colorati e l’appena nata MTV dettava le tendenze più in voga fra i cantanti del momento. Se da un lato, Basquiat e Keith Haring sembravano essere i nuovi eredi di Warhol (dando vita a rappresentazioni artistiche sempre più pop e di strada), gli Stati Uniti erano governati da Ronald Reagan che – con il suo New Deal – aveva portato grande euforia ed una certa tendenza al consumismo di massa. Non mancava però il risvolto della medaglia. La guerra fredda sembrava esacerbarsi facendo incombere il timore di una guerra nucleare (soprattutto dopo il disastro di Chernobyl), il femminismo era entrato in crisi con la fine della sua seconda ondata e – anche se la comunità Lgbtqia+ iniziava ad essere accettata e a rivendicare i propri diritti – si diffondeva la piaga dell’Aids che ha fatto tremare il mondo.
Spopolò in quel periodo anche quel gusto tuttora in voga della cura del corpo e del fitness, con star dello sport (Michael Jordan) e della moda (le famose Top model) assurti ad idoli e modelli di perfezione da emulare. Nacquero i talk show e le saghe cinematografiche come Star Wars ed in tv iniziarono ad essere sempre più popolari le soap opera, le serie tv (come Mcgyver e Super Car) ed i tanto amati cartoni animati giapponesi.
Nel mondo della musica il genere pop dettava legge con artisti del calibro di Madonna e Micheal Jackson e si iniziò a diffondere anche l’uso dell’elettronica e dei sintetizzatori che hanno condotto alla nascita del Synth Pop e della New wave con i Duran Duran ed i Depeche Mode. E mentre andavano per la maggiore Queen, Police, Bon Jovi, U2 o il Glam rock, Bruce Springsteen intonava Born in the Usa e – grazie agli Iron Maiden ed ai Metallica – si affermava il genere Metal.
Ma furono soprattutto cinema, musica e televisione a rivolgersi per la prima volta ai più giovani, ai teenagers, ora pubblico di riferimento a cui indirizzarsi. Nascevano così il walkman, le VHS, i cd, le consolle Atari e Nintendo e la Mattel diventava un’icona fra le industrie di giocattoli, non solo per le Barbie, ma anche per le sue linee dedicate ad He Man, alle Ninja Turtles ed ai Ghostbusters. L’obiettivo principale era, quindi, quello di dare importanza alle dinamiche adolescenziali. Perciò il bullismo, l’insicurezza generata dalla paura di crescere, la scoperta del sesso e dell’amore e la ricerca di una propria identità, divennero tematiche di pellicole cult come Big, Stand by me ed I Goonies.
Forse, anche per questo, le nuove generazioni si ritrovano oggi a rimpiangere gli anni ‘80 e ’90. Non solo per un effetto nostalgia o per il fascino che queste epoche generano loro, ma per la consapevolezza che, nonostante non vi fossero tutti gli agi e le tecnologie di ora, essere adolescenti allora era decisamente meglio. I computer, internet ed i telefoni cellulari muovevano i loro primi passi e, quindi, non erano diffusi. Ciò portava i giovani ad essere più genuini, ingenui, spontanei, fantasiosi e sobbarcati da meno stress e aspettative. Allora esistevano le subcultures giovanili, c’erano i metallari, i nerd, i palestrati, i secchioni o gli amanti del fantasy. Oggi, invece – nonostante si goda di molte più libertà e si possa davvero essere ciò che si vuole – la globalizzazione ed il mondo dei social, ci hanno quasi costretto ad una sorta di omologazione nei gusti e nelle mode, generando disorientamento e una generale perdita dell’identità individuale. I social media e le nuove tecnologie, inoltre, ci hanno illuso di poter conoscere sempre più persone e – tramite l’immediatezza delle comunicazioni – di poter essere più vicini agli altri, in un modo che forse è diventato talmente superficiale, da farci poi sentire sempre più soli. Ecco allora che abbiamo iniziato a fare i paragoni con le vite degli altri o con le altre epoche.
Così gli anni ’80 sono diventati, dunque, una sorta di età dell’oro che si cerca erroneamente di riportare in auge, non rassegnandosi al fatto che non solo ciò sarebbe alquanto anacronistico, ma anche piuttosto stupido. Tecnologie, libertà e possibilità che ci sono oggi sono, infatti, enormi conquiste che dovremmo solo imparare a sfruttare meglio. Mentre degli anni ’80 dovremmo rimpiangere e recuperare solo l’ottimismo, la fantasia, la genuinità e quella rivendicazione all’unicità ed alla diversità che nel tempo li hanno resi così mitici.