#2_MESTRUAZIONE

Period (2015), una serie di foto di Rupi Kaur

giri di parole o del period stigma

Ho le mie cose. La settimana dei mirtilli rossi. Sono indisposta. Sono in quel periodo del mese. Aunt Flo(w) is in town. E la mia preferita Sono sbarcati gli inglesi. Sono tutte perifrasi evitanti, che nascondono un gigantesco tabù.
La parola MESTRUAZIONE, però, viene dal latino tardo menstruare, da menstruus, che significa mensile e che condivide la radice con mensis, cioè mese. Da qui menstrua, i sacrifici mensili; e ancora, menstruum, la durata mensile di una carica. A sua volta, dal greco antico men (mese), e anche mene (luna), da cui ta epimenia (Ippocrate) o ta meniaia (Plutarco), appunto le mestruazioni. Il cortocircuito, pertanto, deve essere avvenuto quando il sangue, elemento vivo corporeo interiore, ha iniziato a sgorgare dalla parola; quando il sangue è diventato impurità, sozzura, ricettacolo della colpa. Nell’antico inglese abbiamo, perciò, monaðblot, letteralmente month-blood; o, ancora monaðaðl, col significato di month-disease.

Seguendo la parola, o meglio le sue perifrasi, si scoperchiano i pregiudizi e le connotazioni negative che racchiude. Ho un preciso ricordo d’infanzia legato a questo stigma: come tutte le famiglie del Sud Italia, anche la mia con l’approssimarsi della fine dell’estate era solita riunirsi – immancabilmente a casa della nonna – per il rituale culinario del fari i buttigghi (letteralmente il fare le bottiglie– il riferimento è alle conserve in bottiglia di salsa di pomodoro per l’inverno, che sarebbero poi state distribuite tra tutti i familiari). Ricordo vividamente che tutto il processo era assolutamente vietato alle donne mestruanti. Il rischio era quello di far andare a male i pomodori e quindi a monte tutto il piano di conservazione. Tutti sapevano, chi più chi meno, di cosa si trattava, ma, naturalmente, nessuno osava nominarle. Men che meno gli uomini che partecipavano al processo, che quando il caso occorreva, si vedevano costretti, insieme alle donne più anziane, a lavorare le numerosissime cassette di pomodori. Le conserve di pomodoro non si fanno più con la frequenza e la partecipazione di allora, ma ancora oggi mia madre quando ho le mestruazioni, mi raccomanda, per esempio, di non toccare le piante, perché potrei ucciderle col magico e mortifero tocco della mia mano mestruata. E non nascondo che questo terrore mi ha accompagnata per molti anni: ho creduto spesso di essere io la causa insensata della loro improvvisa dipartita.

Molte ragazze e donne, dunque, si trovano ad affrontare quotidianamente il problema del period stigma e del period shame, dinamiche derivanti, di fatto, da credenze culturali e miti legati alle donne mestruanti. Ciò che si genera è una forma di vergogna, imbarazzo e titubanza nel parlare apertamente di mestruazioni. Ma non solo: in molti Paesi del mondo, si vengono a creare delle norme sociali che limitano la libertà personale delle donne e, in alcuni casi, ne causano il vituperio.

Lo stigma e la vergogna generati dagli stereotipi legati al ciclo mestruale hanno gravi impatti su tutti gli aspetti dei diritti umani delle donne e delle ragazze, inclusi i loro diritti all’uguaglianza, alla salute, all’alloggio, all’acqua, all’igiene, all’istruzione, alla libertà di religione o di credo, alle condizioni di lavoro sicure e salutari, e al diritto di prendere parte alla vita culturale e pubblica senza discriminazioni. (Nazioni Unite, 2019)

In alcune zone dell’India, per esempio, non è possibile dormire all’interno della propria casa durante il ciclo mestruale, non è possibile visitare luoghi di culto, consumare determinati cibi o persino cucinare, o ancora, non è permesso fare il bagno, svolgere i compiti domestici o interagire con uomini e ragazzi. L’origine di questo mito risale ai tempi vedici ed è spesso legato all’uccisione di Vritras da parte di Indra: nei Veda, la colpa d’aver ucciso un brahmana si manifesterebbe ogni mese sotto forma di flusso mestruale, avendo assunto le donne su di sé parte della colpa dell’uccisore. La narrazione della donna – considerata come gruppo sociale – colpevole che deve espiare tramite il suo corpo la colpa dell’umanità intera, del resto, ci è molto familiare.

il mestruo non è mai piaciuto

Se volessimo partire da lontano, partirei dal momento in cui i primi medici greci, di cui abbiamo testimonianza, si sono resi conto del fatto che le donne sanguinavano periodicamente e gli uomini no. Per cercare di rispondere a questa domanda senza risposta, i filosofi e medici greci, gli Ippocratici soprattutto, hanno immaginato di tutto, e all’interno del Corpus Hippocraticum figurano ben dieci trattati sulla ginecologia. Parmenide, per esempio, sosteneva che, le donne avevano in corpo tale abbondanza di sangue da giustificarne la perdita di una parte durante il ciclo mestruale. Questa eccessiva quantità di sangue nelle donne, secondo gli Ippocratici, sarebbe andata a finire nell’utero attraverso una serie di vene e lì sarebbe rimasto fino al momento in cui, incontrando il seme maschile, sarebbe stato utilizzato per il concepimento. Gli scritti ippocratici, inoltre, hanno il loro fondamento nella teoria del determinismo ambientale, pertanto anche il flusso mestruale viene considerato da questo punto di vista; ne La natura della donna (Peri gynaikeies physios), leggiamo:

Riguardo la natura e le malattie della donna dico che la causa principale, come in tutte le cose umane, è il divino, poi la costituzione fisica delle donne e la loro carnagione: quelle eccessivamente bianche sono più umide e con flusso più abbondante; quelle scure sono più secche e dure, quelle di colorito rossastro hanno una costituzione intermedia tra le prime due. […] Chi intende intraprendere in modo corretto la trattazione di questi argomenti deve poi […] individuare le costituzioni fisiche delle donne, le età, le stagioni e i luoghi nei quali vivono: i luoghi freddi infatti predispongono al flusso, quelli caldi danno secchezza e ritenzione sanguigna.

trad. di Valeria Andò

Gli Ippocratici, e a seguire Platone, Aristotele e via dicendo, cercarono di indagare il corpo della donna e le sue malattie (o presunte tali) ovviamente dal punto di vista prettamente maschile, pertanto tutte le terapie trovate avevano un unico e solo scopo ed un’unica e sola ragione: la procreazione. Spostiamoci adesso sul versante monoteistico.

Il Levitico (il terzo dei cinque libri della Torah) 15:19-30 recita: Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, per sette giorni resterà nell’impurità mestruale; chiunque la toccherà sarà impuro fino alla sera. Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua impurità mestruale sarà impuro; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà impuro. Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e resterà impuro fino alla sera. L’antichità del testo non ne compromette tutt’oggi la pedissequa applicazione, per lo meno nelle famiglie osservanti. La condizione della niddah – la donna mestruata – persiste ancora oggi in alcune comunità ebraiche.

Simili credenze, che hanno ripercussioni nel presente, si trovano anche nella religione islamica, dove, per esempio, le mestruazioni sono definite āda, cioè sozzura. Il Corano, sura II, versetto 222, prescrive: Non abbiate contatto carnale con donne mestruate, statene a debita distanza finché non siano purificate. Se mestruate, le donne non possono frequentare la moschea nè tantomeno pensare di poter toccare il Corano; alcune di queste pratiche sono suggerite persino al giorno d’oggi.

Infine, non ci resta che la beneamata religione cristiana. Pare quasi che la questione dell’impurità non sia stata così severa, almeno agli albori del cristianesimo. I problemi arrivarono durante il Medioevo, quando le donne mestruate non potevano fare la comunione e dovevano aspettare quaranta giorni dopo il parto per poter andare in chiesa. E, a quanto pare, la Vergine Maria, secondo i teologi, era anche non mestruante; l’impurità sanguigna femminile non avrebbe pertanto sozzato la sua presunta santità.

Messaggi lasciati sugli assorbenti dalla femminista tedesca Elonë

Lo stigma sociale che circonda le mestruazioni, come abbiamo visto è radicato nel profondo della nostra cultura. Ancora oggi crea un sentimento di imbarazzo circa la propria fisiologica condizione, e conduce pertanto alla ritrosia nel discutere delle proprie esigenze igieniche, e ad esitare nel chiedere supporto, specialmente se le persone mestruanti si trovano in una situazione finanziaria precaria. Possono, pertanto, essere costrette a fare scelte difficili – per esempio, tra acquistare prodotti igienici o soddisfare altre esigenze di base. Quando la mestruazione è considerata argomento tabù o non prioritario, può esserci anche una mancanza di volontà politica nel fornire risorse per affrontare l’enorme problema creato dallo stigma, ovvero la povertà mestruale. Vediamo di che si tratta.

combattere la period poverty o sulla period equity

Il problema della povertà mestruale è un problema datato, ed esserne afflitti significa che la persona mestruante non ha accesso a prodotti sicuri per l’igiene mestruale. Vuol dire che molte persone non sono in grado di gestire le proprie mestruazioni con dignità: ad esempio, perché non hanno una sistemazione stabile, o sono costrette a utilizzare gli stessi prodotti mestruali per un periodo più lungo di quanto sia sicuro o consigliabile.

I prodotti per il ciclo mestruale non sono solo tamponi, assorbenti, coppette mestruali o slip assorbenti, ma anche articoli di base come farmaci per il controllo del dolore, o anche semplicemente sapone o acqua corrente. Inoltre, con la locuzione period poverty non si indica soltanto la questione economica, ma anche la mancanza di risorse per educare alla salute mestruale; questo set di mancanze comporta l’accentuazione del period stigma e dei sentimenti di vergogna e imbarazzo, che, a loro volta, danno vita a poca conoscenza sul tema, causando l’aggravarsi di patologie legate al sistema riproduttivo femminile (endometriosi, PMS e PMDD, etc.).

Ogni giorno milioni di donne vivono condizioni al limite igienico-sanitario. L’organizzazione francese Règles Élémentaires stima una cifra di 500 milioni di donne attualmente vittime di povertà mestruale nel mondo; ma, di fatto, non si tratta soltanto dei Paesi in via di sviluppo o di quelle culture vessate dallo stigma di cui abbiamo parlato in precedenza, molte di queste donne vivono, di fatto, in Paesi ricchi.

Il parlamento europeo ha calcolato che, in Europa, ogni donna spende circa 675 euro all’anno per i prodotti per l’igiene mestruale. Nonostante gli sforzi degli ultimi anni da parte di alcuni governi e organizzazioni non governative per affrontare la questione della povertà mestruale attraverso l’implementazione di politiche pubbliche, alcuni Paesi, come ad esempio l’Italia, restano ancora un passo indietro sulla questione. Molti stati hanno eliminato o ridotto l’IVA sui prodotti d’igiene mestruale, mentre altri hanno adottato iniziative per fornire gratuitamente questi prodotti nelle scuole o attraverso programmi di assistenza sociale (come ad esempio, la Scozia, primo Paese a garantire la fornitura gratuita), a seguito della modifica nel 2022 alla direttiva 112/2006 che favorì il percorso verso l’abolizione dell’imposta. In Italia, invece, l’iter della tampon tax è stato altalenante; la Legge di Bilancio 2023 aveva finalmente introdotto la riduzione dell’IVA sui prodotti per l’igiene intima femminile compostabili, abbassandola dal 10% al 5%. Tuttavia, l’IVA è stata rialzata nuovamente al 10% nella nuova Legge di Bilancio per il 2024. 

Ogni donna mestrua una volta al mese, e non può decidere di non farlo. Pertanto, questa decisione ha scatenato le associazioni femministe, che hanno promosso delle campagne e dato vita a petizioni contro l’aumento – per esempio, #StopTamponTax, il Ciclo è ANCORA un Lusso!. Non solo le femministe hanno le mestruazioni, perciò sentitevi libere di firmare la petizione.

Per molti anni, le imprese e gli stati hanno capitalizzato il ciclo mestruale, considerando l’igiene delle donne un business anziché una necessità. Per troppo tempo l’accesso ai prodotti igienici adeguati è stato irraggiungibile per alcune donne nel mondo. La period poverty può assumere forme diverse, e ha effetti emotivi, fisici e mentali sugli individui. Appurato che più della metà della popolazione mondiale ha il ciclo mestruale, è giunto il momento che la povertà mestruale diventi, quindi, un problema di tutti.

Poiché, però, il mondo sta affogando nella plastica, molti progetti esplorano la via dei prodotti igienici mestruali riutilizzabili e rispettosi dell’ambiente. Un bellissimo progetto di questo tipo, avviato in Nepal da Dipisha Bhujel, è il Project Sparsa. Sparsa è un’impresa sociale che produce e vende assorbenti compostabili realizzati in fibra di banana, una risorsa abbondante nella regione del Nepal. Si tratta di un progetto di economia circolare che mira a ridurre l’inquinamento e a contribuire alla conservazione dell’ambiente locale, offrendo un’alternativa agli assorbenti convenzionali e creando opportunità economiche per gli agricoltori e le comunità coinvolte nella coltivazione delle banane. Con il ricavato generato, sostiene campagne di sensibilizzazione sul ciclo mestruale, promuovendo l’uso di prodotti mestruali biodegradabili e sfidando i tabù della società.

epilogo

Carolee Schneeman, Blood Work Diary (1971)

La questione dello stigma legato alle mestruazioni ha, fin dagli anni ’70, occupato un posto privilegiato nel discorso femminista, e, come abbiamo visto, la lotta non è ancora finita. Proprio in quegli anni, molte attiviste e artiste femministe hanno iniziato a produrre opere destabilizzanti, che scuotessero il fruitore, portandolo ad interrogarsi sul tabù. Judy Chicago, storica militante per i diritti delle donne, ad esempio, ha dato vita ad opere conturbanti, come Red Flag (1971), o anche l’installazione Menstruation Bathroom from Womanhouse (1972). Il lavoro qui sopra, Blood Work Diary, invece, appartiene all’artista Carolee Schneemann che lo descrive come il registro della mia interiorità. Il suo potere risiede nell’elemento sorpresa, una realizzazione che rafforza la potenza dei tabù complicati che circondano la mestruazione nella società. Ogni macchia segna un giorno, una rappresentazione ciclica del tempo, non quindi una progressione lineare. Allo stesso modo, ciclico, ma a tratti caotico, è l’immaginifico processo mestruante e le biologie visionarie, descritte dalla poeta Blu Temperini, nella poesia Ciclo mestruale:

Al ventottesimo naufragio
si sgretola lo scheletro del porto.
Si segnano sulle fronti
apparizioni e sparizioni,
sangue circolato in un’estasi;
dalla cavernosa gioia
all’uterina incoscienza.

Queste supervisioni
scoccano sui nostri orologi
con mensilità torrenziali,
degenerano le tube temporali
vendemmiano orticarie e scogli:
quesiti tratti da lugubri paesaggi.

Il linguaggio è nostro strumento di cambiamento, grazie ad esso plasmiamo la realtà che ci circonda, e viceversa, le diamo voce, destinazione e significato; il linguaggio ha potere, estirpa le abitudini lessicali – e quindi politiche – indesiderate e, nel ciclico rinnovarsi del mondo, si ravviva con esso. In conclusione, poche parole dal saggio Elogio del margine di Bell Hooks:

La lingua è anche un luogo di scontro. Noi siamo uniti nella lingua, viviamo nelle parole. La lingua è anche un luogo di lotta. Avrei il coraggio di parlare all’oppresso e all’oppressore con la stessa voce? Avrei il coraggio di parlare a voi con un linguaggio che scavalchi i confini del dominio – un linguaggio che non vi costringa, che non vi vincoli, che non vi tenga in pugno? Il linguaggio è anche luogo di lotta. Gli oppressi lottano con la lingua per riprendere possesso di sé stessi, per riconoscersi, per riunirsi, per ricominciare. Le nostre parole significano, sono azione, resistenza. Il linguaggio è anche un luogo di lotta.

trad. di Maria Nadotti

consigli paralleli

EVENTO – Festival del ciclo metruale (terza edizione), dal 24 al 26 maggio 2024

LIBRO – Questo è il mio sangue di Elise Thiébaut

CORTOMETRAGGIO – Period. End of sentence di Rayka Zehtabchi

PODCAST – EVA IN ROSSO

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