Cosa vuol dire trovare il proprio posto nel mondo?
Una domanda che in molti si pongono, soprattutto chi, questo posto, non l’ha ancora trovato.
Molti credono che “sentirsi a casa nel cosmo” abbia molto a che fare con un luogo fisico. Si ritiene che rimanere in un luogo o andar via da uno che sta stretto sia la soluzione. Per poi scoprire, nella stragrande maggioranza dei casi, che bisogna prima essere in pace con sé stessi prima di sentirsi in pace in una città, un paese, quattro mura o ventiquattro.
Seneca, nel suo “De brevitate vitae”, afferma che la nostra vita è in realtà lunga abbastanza, ma che, nella maggior parte dei casi, la sprechiamo concentrandoci su inezie. Così passano i giorni, i mesi, gli anni, senza che ce ne accorgiamo; e quando guardiamo indietro, capiamo quanto tempo abbiamo perso dietro a cose che sembravano importanti ma che poi, in realtà, si sono rivelate “fuochi di paglia”.
Molto tempo perdiamo a capire chi siamo. Quello che è altro rispetto a noi tenta di etichettarci fin da quando nasciamo, di incapsularci, di trovare per noi un posto nel mondo, senza darci la possibilità di autodeterminarci. E quando questo invece accade, uscendo fuori da schemi precostituiti, quando arriva la rivoluzione, ecco che tutti sono pronti a giudicarci, a dirci dove, come e perché stiamo sbagliando a non seguire la retta via.
Quale che sia, il concetto di retta via, di solito appare molto presto. Con l’età che avanza, però, più te ne allontani, più rischi di essere posto ai margini della società se non ci ritorni. Te lo si può perdonare in giovane età: d’altronde, si sa, son ragazzi, quindi una svista può capitare. Ma superata una certa soglia, no, questo no. Il tuo percorso verso la maturità è uno e solo e non sono concessi sgarri, altrimenti sei fuori. Fine.
Spesso e volentieri la libertà arriva quasi al termine della vita. Solo allora si riesce a dare il giusto peso alle cose e a fregarsene degli stereotipi. Perché è in quel momento che più facilmente ci si guarda indietro e si realizza che molto probabilmente la maggior parte della propria vita è stata inutilmente sprecata, senza avere poi alcun tornaconto.
L’epifania, però, è in realtà dietro l’angolo da molto tempo prima. Imparare a dedicare del tempo a riflettere, in pace, su quello che si sta facendo è un primo passo verso una maggior consapevolezza. Cosa che la società di oggi ci rende sempre più difficile: ci vuole sempre connessi, sempre raggiungibili, sempre occupati a far qualcosa. Il libero pensiero ha invece bisogno di tempo e spazio per muoversi e dipanarsi. Quando non li trova, rimane nascosto, langue. In attesa di giorni migliori che, forse, non arriveranno mai.
Ma sentirsi a casa propria nel cosmo è forse anche imparare ad adattarsi senza mettersi da parte, ascoltandosi e distaccandosi dalla massa. D’altronde, No man is an island, diceva John Donne: siamo parte di noi stessi e, al contempo, di una collettività in cui nasciamo, cresciamo e viviamo, all’interno della quale possiamo trovare supporto e conforto quando ci sentiamo travolti.
In questo, i sentimenti e le emozioni giocano un ruolo fondamentale: la propria casa si identifica spesso con persone, con le quali si ha un legame intimo che trascende la fisicità e va oltre, verso luoghi inesplorati. Proprio allora l’anima trova la pace da tempo bramata; ed è quindi nei legami che vanno oltre la corporeità che si trova il proprio posto nel mondo.
Non ci si può arrendere, dunque, al primo ostacolo: la vita ci ha riservato tanto, che ci aspetterà fin quando non saremo pronti ad abbracciarlo. Quel tanto, non ha alcun aspetto quantitativo, ma solo qualitativo. Ed ecco che quel tanto diventa la nostra casa nel cosmo.