Niki De Saint Phalle: l’arte di una femminista/non femminista

Il Mudec di Milano ha recentemente inaugurato  la prima mostra retrospettiva  su Niki De Saint Phalle, artista conosciuta ai più per il Giardino dei Tarocchi in Toscana e per le sue coloratissime Nanas. A rendere omaggio alla vita e all’arte della straordinaria artista franco- americana , ha pensato, poi,  anche  Galucci Editore che – sempre quest’anno – ha dedicato a lei la sua prima graphic novel biografica. Ma perché  Niki de Saint Phalle è ancora oggi così attuale a vent’anni di distanza dalla morte? E perché ha svolto un ruolo importante per l’arte, soprattutto per quella al femminile? Scopriamolo insieme!

Niki De Saint Phalle è stata una delle artiste più importanti e conosciute della seconda metà del ‘900. Pittrice, scultrice e regista – negli oltre cinquant’anni della sua sfolgorante  carriera – è stata una delle artiste più prolifiche del suo tempo, ma anche una delle figure più controverse e dibattute grazie al suo  carattere ribelle e sovversivo,  ai significati ambigui e contraddittori delle sue opere  (figlie della sua costante metamorfosi ), ma soprattutto  per il suo essere antesignana dei tempi. L’arte per lei non era  solo una vocazione (dato che era un’autodidatta, priva di una formazione artistico accademica) o semplice  ricerca di sé stessa, ma reazione e forza salvifica che nasce in stretto rapporto con il suo vissuto come urgenza di affrontare ed esorcizzare le ingiustizie ed i dolori subiti in vita in quanto donna.

Vita

Niki de Saint Phalle, pseudonimo di Catherine Marie Agnès Fal de Saint Phalle,  nasce a Parigi nel 1930, seconda di cinque figli di una nobile famiglia dell’alta borghesia francese. Il padre è un banchiere e conte francese, la madre è un’ex attrice americana che ha abbandonato la carriera per dedicarsi alla famiglia. A causa della grande depressione del ’29, la famiglia cade in declino dopo la nascita di Niki ed è presto costretta a trasferirsi negli Stati Uniti. Questo evento segnerà l’artista per tutta la vita, definita dalla madre “Figlia della Depressione”, non solo ad indicare la coincidenza della sua nascita con la caduta in disgrazia della famiglia, ma anche ad additarle la colpa dei tradimenti del padre, scoperti dalla madre mentre era in attesa di lei. Niki cresce quindi con un forte senso di ribellione verso la famiglia e verso l’educazione cattolica e borghese che riceve. Per questo suo carattere ribelle, cambia  spesso scuola, espulsa di continuo da un educando cattolico all’altro. Solo alla Brearley School si troverà bene. Alla Brearley dirà di essere diventata femminista, di aver capito di volere essere alla pari degli uomini, di voler appropriarsi del potere e delle libertà maschili e di rifiutarsi di rivestire i semplici ruoli di moglie e di madre.  Nel ’42, Niki è sempre più irrequieta ed in conflitto con la famiglia. Si rifiuta persino di mangiare con loro e si lega molto alla servitù di colore. Un evento traumatico ha cambiato per sempre la sua esistenza: in quell’estate è stata abusata dal padre. Inizia così a rifugiarsi prima nella Magic Box della sua fantasia, passando poi alla scrittura ed infine nel teatro. Nel mentre, inizia a fare da modella per  riviste di moda come  Vogue e Life fin quando  nel ’48 rincontra  una sua  vecchia infatuazione Harry Mathews.

Niki de Saint Phalle, modella sulle copertine di Vogue, Life ed Elle, 1949 – 52

I due condividono gli stessi ideali e lo stesso desiderio di libertà, si innamorano e nel giro di un anno – desiderosi di emanciparsi dai propri genitori – si sposano. Da questo matrimonio nasceranno due figli, Laura nel’50 e Philip nel’55. Nel frattempo la coppia è costretta a fuggire dagli Stati Uniti a causa delle politiche di persecuzione ed intolleranza perpetrate dal Maccartismo nei confronti delle minoranze etniche, culturali e sessuali e di chiunque abbia idee democratiche e progressiste. Rifugiatisi a Parigi, Niki ed Harry conducono una vita felice finché Harry non inizia a tradire Niki. Lei inizia a soffrire di insonnia e si rivolge ad un ginecologo per dei sonniferi, ma questi la molesta palpandole seni e genitali e risvegliando in lei ricordi sopiti degli abusi subiti da bambina. Niki sta sempre più male, ha istinti suicidi , allora, nel’53 viene ricoverata in una clinica psichiatrica. Qui viene trattata con l’elettroshock, ma scoprirà nell’arte la sua unica terapia di guarigione. Inizia quindi a creare i suoi primi assemblages. Una volta dimessa riceve però una lettera dal padre che si scusa di aver abusato di lei quando aveva 11 anni. Niki che aveva perso molti ricordi a causa  dell’ elettroshock , si sente confusa. Ritorna, quindi,  a provare angoscia e dolore, ma stavolta reagisce canalizzando tutto nella sua arte. Nel ’54 Niki  e la sua famiglia si trasferiscono per due anni a Mallorca, in Spagna,  in una comune per artisti. Viaggiando e visitando musei fra Germania, Italia e Spagna Niki conosce il suo mentore Hugh Weiss, ma soprattutto visita il Parc Güell di Gaudì che farà nascere in lei il desiderio di creare un proprio giardino artistico. Nel ’56 avviene la sua prima mostra a St. Gallen in Svizzera e sempre in quell’anno – quando Niki torna in Francia – incontra per la prima volta l’artista Jean Tinguely . Nel’ 59 una lettera della madre le conferma gli abusi subiti da parte del padre, suscitando in lei un sempre più forte desiderio di emancipazione e di realizzazione come artista. Abbandona quindi, marito e figli per dedicarsi all’arte. Nel ’60 crea la sua prima grande opera Portrait of My lover (1960), che presto evolverà nei suoi celebri Tirs(1961-1963), facendola entrare d’onore nel gruppo dei Nouveaux Rèalistes.

Intanto, Tinguely e Niki, iniziano una relazione che si trasformerà in un sodalizio artistico e sentimentale che durerà 30 anni. L’evoluzione artistica di Niki prosegue, si cimenta prima in sculture femminili composte da assemblaggi, per giungere poi  alle sue celebri Nanas e ad  Hon – en katedral (1966)e continuare infine con la realizzazione di diversi monumenti  pubblici. In questi anni Niki è un’artista affermata,  viaggia  ed espone le sue opere in tutto il mondo. Durante la sua esposizione per il padiglione francese all’Expo del 1967 di Montreal, però, si ammala ai polmoni respirando le polveri tossiche  del vetroresina che stava lavorando per la prima volta. Si aggrava così la sua salute, già minata dall’asma e dall’ipertiroidismo. Nello stesso anno muore il padre, a cui dedicherà il film Daddy (1973). A fine anni ’70, per curare i suoi problemi ai polmoni, Niki si trasferisce per un periodo sule Alpi Svizzere dove incontra Marella Agnelli. La Agnelli la mette in contatto con fratelli Caracciolo i quali posseggono un terreno in Toscana che le permetterà di iniziare i lavori per la creazione del proprio giardino artistico: Il Giardino dei Tarocchi.  L’opera richiederà vent’anni di costruzione, nei quali Niki rimane comunque dedita alla sua arte. Si concentra sempre più sulle ingiustizie sociali scrivendo libri informativi sull’AIDS e realizzando opere che sensibilizzino il pubblico sulla questione ecologista. Nel 1991 muore il suo compagno di una vita:  Jean Tinguely. Niki torna quindi negli Usa prima a New York e poi a Jolla in California, nel ’98 apre finalmente  Il Giardino dei Tarocchi e lei  continua a produrre opere fino alla morte, il 21 maggio 2002.

Opere

Niki de Saint Phalle opera principalmente nella seconda metà del Novecento, periodo di culla di numerose tendenze e correnti artistiche, alle quali de Saint Phalle si avvicinerà senza però mai aderire completamente a nessuna di esse. Artista colta e consapevole del proprio tempo, è capace, infatti di unire due culture visive completamente diverse: quella delle nuove avanguardie  della vecchia Europa da un lato, e l’arte americana (come l’Action painting, il Dripping e la Pop Art), dall’altro. Il tutto raggiungendo uno stile unico e personale  contraddistinto da  un carattere naïve vicino all’Art Brut e da immagini semplici  e spesso ricorrenti caratterizzate da un forte simbolismo.Nelle sue opere  vuole rappresentare la propria visone del mondo e la propria interiorità, affrontando temi caldi per il tempo, cercando di rappresentare e dar voce a tutte quelle identità e comunità che un voce non ce l’hanno, in quanto considerate minoranze.Le diverse fasi della sua produzione seguono, dunque, le diverse fasi della sua vicenda biografica, sempre in costante  dialogo con il contesto socio – politico dei tempi in cui vive.

I primi dipinti, assemblages  e reliefs

Dal 1953 fino al 1955, inizia la prima fase da artista di Niki de Saint Phalle. Mentre è ospedalizzata inizierà realizzando collage, inserendo nei sui dipinti foglie e ramoscelli. Non essendo ancora pratica della pittura e della prospettiva, inizia sperimentando, passando ai pastelli solo una volta rientrata a casa. L’arte non solo le da sollievo, ma le permette di esternare  il proprio mondo interiore, esorcizzando il dolore, soprattutto dopo la lettera ricevuta dal padre. Gli acquerelli ed oli realizzati in questo periodo sono principalmente ritratti di famiglia, autoritratti, feste e passeggiate lungo la spiaggia in cui inserisce piano, piano motivi aneddotici e decorativi. Nel ’54 inizia a viaggiare per l’Europa ed a visitare musei. Mantiene il suo stile naïve, ma ora a darle ispirazione sono l’arte rinascimentale italiana, le opere di Goya ed il Paradiso delle delizie di Bosch. Nelle sue opere  incominciano, quindi, ad emergere mostri, fanciulle, dee, castelli ed animali. Mondi fiabeschi a metà fra il sogno e l’incubo, in cui coesistono violenza/caos e gioco/ gioia, carattere che diventerà poi  distintivo di tutta la sua produzione. Esempio di questa fase è l’opera  Composition.  Da questi primi dipinti, nel ’55,  giunge infine, ai primi assemblages, sorta di mosaici ottenuti inserendo nei dipinti oggetti della quotidianità (objetcs trouveè), spesso legati alla sfera domestica (semplici bottoni e lacci), ma anche oggetti appuntiti ed armi. Emergono già in queste prime opere il  rapporto complesso ed inquieto che Niki ha con la vita domestica e casalinga e la sua contrarietà alla costruzione ed imposizione sociale che vede la casa come spazio privato legato al genere femminile, relegando le donne ai soli ruoli di madre e moglie, mentre destina lo spazio pubblico all’uomo considerato più capace e superiore. Le violenze subite da bambina all’interno della propria casa – che da luogo di riparo si trasforma in prigione di abusi e violenza – inoltre si trasformano qui in totale rifiuto a quella mentalità borghese e perbenista che  vuol nascondere dietro la facciata di famiglia felice, una domesticità violata. L’’inserimento di oggetti nei dipinti inizia a dare tridimensionalità alle opere di Niki de Saint Phalle –  che da Assemblages diventano veri e propri Reliefs (Rilevi) – segnando così la sua definitiva svolta dalla pittura alla scultura (con la prima che diventerà una sorta di seconda pelle per la seconda).

Niki de Saint Phalle, Composition, 1956, olio su tela,190×130 cm, Moderna Museet Stockholm

Les Tirs (I tiri)

L’opera che segnerà tale svolta nell’arte, ma soprattutto nella carriera artistica di Niki de Saint Phalle è Portrait of my lover. Abbandonati marito e figli per inseguire la sua carriera d’artista (cosa rivoluzionaria e non usuale per una donna del tempo), Niki intraprende una relazione con un’artista famoso  da cui si sente soggiogata e dipendente, nonostante non ne sia innamorata. Decide così di realizzare un’opera che possa essere per lei strumento di emancipazione. Si fa quindi prestare dall’amante una camicia ed una cravatta, le mette sopra un pannello di legno (creando una sorta di feticcio dell’uomo)  gli sovrappone, al posto della testa, un bersaglio acquistato in un negozio di giocattoli, ed in una sorta di gesto liberatorio inizia a tirargli contro delle freccette. Decide quindi di esporre Portrait of my Lover al Museè de la Ville de Paris, nel 1961, alla mostra collettiva dal titolo Comparaisons: peintures – sculptures in cui  invita anche il pubblico a partecipare in modo attivo alla performance e ad interagire con l’opera stessa (lanciando anch’esso  contro il feticcio le freccette) e perpetuando così il gesto di ribellione dell’artista. In questo modo, con una gestualità quasi associabile a quella dei Fluxus e con una giocosità quasi dadaista, Niki crea un’opera che non solo rappresenta il suo vissuto e la sua  voglia di ribellione, ma anche una ribellione in cui chiunque si possa riconoscere.

Niki de Saint-Phalle, Portrait of My Lover, 1961,legno, camicia, cravatta, bersaglio, freccette, vernice, 72x55x7 cm,Sprengel Museum Hannover

Questo schema di gioco violento e di interazione del pubblico  con l’opera d’arte, verrà ripresa ed estremizzata con più consapevolezza nelle sue opere successive intitolate Les Tirs (spari). Essi  altro non erano che dei rilievi composti da objects trouvè di diverso tipo, misti a sacche piene di pittura che venivano  fissati su un pannello di legno e poi  nascosti sotto a del gesso bianco contro cui, infine,  venivano sparati dei proiettili con un fucile a pompa,  che, colpendo le sacche di pittura le facevano esplodere macchiando i rilievi di colore, quasi a farlo sanguinare. Fra il 1961 ed il 1963, Niki,  insieme al compagno Tiguely, organizza una dozzina di queste sessioni di sparo fra Europa e Usa, conquistando  critica, pubblico e l’attenzione dei importanti artisti del tempo. Viene, quindi,  ammessa al gruppo dei Nouveaux Rèalistes (unica donna del gruppo) e si afferma a pieno titolo nel mondo dell’arte, potendo  esporre suoi lavori nelle più prestigiose istituzioni d’arte sino ad allora inaccessibili alle donne.

Niki de Saint Phalle, Tirs (shots) painting series

Se i primi tiri, però,  non avevano un tema alle spalle ed erano più una parodia al machismo che dominava l’action painting, piano, piano vittima degli spari di Niki diventano i temi di lotta a lei più cari: la lotta agli stereotipi di genere nel mondo dell’arte in Venus de Milo, la lotta al potere ecclesiastico  ed infine la lotta agli stupri orrori della guerra in Algeria  compiuti dall’esercito francese in Autel A.O.S.. Niki de Saint Phalle, diviene così un’ eroina che scardina e si ribella ad ogni canone di potere, imbraccia il fucile non più come vittima passiva ed inerme (come per secoli la donna è stata rappresentata), ma come carnefice delle ingiustizie, permettendo anche al pubblico che partecipa ai suoi tiri di uscire dall’indifferenza passiva a tali violenze ed ingiustizie. Ogni esecuzione dei tiri è sempre documentata da video  fotografie, a  conferma dell’importanza performativa delle opere e del loro risultato finale.

Niki de Saint Phalle, Autel O.A.S, 1962, legno, misc. found objects,vernice in bronzo dorato, 252x241x41 cm, MAMAC Collection, Nizza

Le Compositions, Biths and Brides

Nel 1963, stanca dei Tirs e dell’assuefazione che le danno, Niki decide di sperimentare una forma artistica diversa e di maggiore impatto con cui  affrontare le tematiche a lei più care. Dal 1963 al 1965 inizia allora una fase di transizione in cui assembla tutti gli objects  trouvèe che utilizzava per i suoi tiri, ma dando loro la forma di donne mastodontiche, immobili, con la testa piccola e con le espressioni alienate e prive di identità . Tutte vestite da sposa o raffiguranti donne incinta o prostitute.  Sono gli anni in cui in Francia si discute di contraccezione e pianificazione familiare e le femministe affrontano i temi dell’ autonomia del corpo delle donne e dei diritti di riproduzione (come l’uso di contraccettivi e l’aborto). Niki, perciò, dalla violenza fisica contro i corpi affrontata dai tirs, Niki passa ora alla violenza psicologica che la società consumistica del dopo guerra impone alle donne, costringendole  ad una  dicotomia che le divide o in madri/spose o in streghe/puttane. Le sue spose e partorienti sono composte da tanti piccoli oggetti, sono frammentate, fratturate ad indicare la loro identità spezzata. Il fatto di esser composte da oggetti sottolinea come, infatti,  anch’esse in qualche modo lo siano,  di come i loro corpi siano considerati  oggetti dagli uomini e di come , diventando mogli , non solo abbiano perso il loro cognome, ma anche la propria identità individuale.

Niki de Saint Phalle, La Mariée, 1963, rete metallica, intonaco, tessuti e oggetti dipinti, 226x200x100 cm, Centre George Pompidou, Parigi

Les Accouchements (le partorienti), infine, evocano più la sofferenza del parto che  la gioia della maternità , mettendo sotto gli occhi dell’opinione pubblica l’ansia ed il trauma emotivo che può portare alle donne la maternità, ma soprattutto di come il ruolo di mogli e di madri non siano intrinseci nella corporeità delle donne, ma solo semplici costrutti imposti dalla società.

Niki de Saint Phalle, L’accouchement rose, 1964, griglia metallica,intonaco e oggetti dipinti, 219x152x40 cm, Moderna Museet Stockholm

Le Nanas e Hon

Un giorno, guardando l’amica Clarice incinta, Niki cambia prospettiva sul parto e sulla condizione femminile. Vede nell’amica radiosa per la maternità un simbolo di forza e bellezza. Ha quindi un’ispirazione per le sue nuove sculture: una sorta di dea madre, l’archetipo della donna fiera e formosa , portatrice non solo  di vita, ma anche di energia e gioia. Da una concezione brutale del parto, Niki vuole, quindi,  ora sottolineare il ruolo di creatrice della donna. Nel 1965 nascono cosi le Nanas (ragazza in francese): maestose sculture realizzate in resina poliestere la cui silhouette richiama quella di dee pagane e paleolitiche, donne la cui corporatura esuberante va oltre i canoni di bellezza imposti dalla società, dettandone di nuovi ed imponendo l’ideale di una nuova dea madre moderna. Rappresentate con colori sgargianti ed in  movimento, esse sono  simbolo di indipendenza e di vitalità. Al  grido di:” Les Nanas au Pouvoir!” esse sono  archetipi di donna non più passiva, ma attiva che, non solo è riuscita a guadagnarsi un posto nella società, ma ne può essere a capo. Donne che non devono più scegliere tra famiglia e successo ma possono averli entrambi.  

Niki de Saint Phalle con le sue Nanas Balloons, 1970

Tra le molte Nanas prodotte da Niki lungo tutto  l’arco della sua carriera,  vanno ricordate, in particolar modo, le numerose Nanas nere da lei create( Black Venus, Black Madonna, Black Nanas) e che celebrano l’identità delle donne nere. Negli anni ’50 e ’60, infatti,  negli Usa imperversava il razzismo e poche o nulle erano le rappresentazioni di persone di colore, soprattutto donne. Da sempre in lotta contro ogni tipo di razzismo  Niki de Saint Phalle realizza fin da subito Nanas  di ogni colore e che celebrino ogni tipo di donna  ed in cui ogni donna possa identificarsi indipendentemente dalla razza. Convinta, poi, che l’arte debba portare gioia e perciò  essere accessibile a tutti, Niki de Saint Phalle inizierà a le sue Nana anche in serie ed in piccolo formato o  sotto forma di piccoli Nanas Balloons per i bambini.

Niki de Saint Phalle,Nana Danseuse Noire (Grande Danseuse Negresse), poliestere verniciato su base in metallo, Grand Palais, Parigi, 1968

Le sue Nanas fanno così  il giro del mondo conquistando tutti! Ma è  una Nana in particolare che passerà alla storia portando scandalo: HON – enkatedral (1966). Realizzata nel 1966 con l’aiuto di Tinguely ed in collaborazione con l’artista svedese Ultvedt, per la Hall del  Moderna Museet a Stoccolma, è un enorme Dea Madre partoriente, lunga quasi ventinove metri, messa  in posizione supina e visitabile dal pubblico sia esternamente che internamente  accedendo dalla vagina della statua.  Varcato l’ingresso della statua – dopo aver trovato sulla giarrettiera della gamba destra il monito: “Si vergogni chi pensa male!” – il visitatore si trovava immerso in un ambiente interattivo, con diverse attrazioni all’interno della scultura monumentale. Un planetario ed un Milk Bar nei seni; Un divano dove gli innamorati potevano sedersi ed essere registrati,  in un ginocchio; Una galleria di falsi d’autore  lungo in  una gamba ed uno scivolo nell’altra, una sala per la proiezione di un film nel braccio destro; e nella testa un cervello in legno motorizzato. Alla fine del tour, tramite una scala, il visitatore poteva salire sulla sommità del pancione e qui contemplare chi sta entrando dal sesso della Hon. Innegabile il carattere provocatorio dell’opera , metafora e riflessione sia sui rapporti tra uomo e donna, sia celebrazione della donna come grande madre e tempio sacro (Hon- en katedral significa infatti Lei, la cattedrale). Realizzata nell’arco di sei settimane, l’opera rimane aperta al pubblico per tre mesi, dal 3 giugno al 4 settembre 1966, accogliendo oltre centomila visitatori al suo interno e destando nel pubblico reazioni contrastanti. Alla fine della mostra la grande dea viene smantellata e scomposta, e il Moderna Museet ne conserva tutt’oggi il frammento della testa. Niki riesce però, in un impresa epica contribuisce contro la stigmatizzazione del sesso femminile, due anni in anticipo sui movimenti di liberazione sessuale del 1968 e cambia per sempre le modalità di fruizione dell’arte, di esposizione museale e di visita esperienziale.

Visitatori che entrano in Hon, 1966, Moderna MuseetStockholm, foto scattata da Hans Hammarskiöld

Il successo riscosso da Hon, apre la strada a Niki de Saint Phalle ad una serie di progetti su scala architettonica  che la consacrano come prima artista donna  nel campo della scultura pubblica monumentale, prima di lei appannaggio solo degli uomini. Se l’arte privata era permessa alle donne, quella pubblica no, così come i soggetti spesso rappresentati nei monumenti pubblici ritraevano soltanto eroi maschili e le donne erano relegate a mere  allegorie o denudate per compiacere il desiderio maschile. Con Niki de Saint Phalle, si invertono i ruoli. Eroine delle sue sculture sono le sue Nanas declinate  su scala monumentale – come ad esempio la  Nanas Maison (1967) o le Nana Cattedrale (Hon) o l’Imperatrice – in cui Niki celebra i corpi delle donne( motivo ricorrente in quasi  tutti i suoi progetti architettonici), che spesso diventano pure strutture abitabili . Il suo intento è quello di trasformare la realtà e la società, con la costruzione di spazi per un utopica società matriarcale, in cui l’architettura si integra con la natura, senza distruggerla. È  convinta che le opere pubbliche e monumentali debbano non solo portare gioia al  pubblico, ma anche smuovere e trasformare la vita di coloro che le incrociano. Per cui con la sua arte mira non solo alla trasformazione del ruolo della donna nella società, ma anche alla società nel suo complesso.  

Niki de Saint-Phalle, Les Trois Grâces ,resina sintetica e colore vinilico, 66x79x89cm, Washington DC, 1994

Le opera pubbliche e monumentali

Il sodalizio non solo amoroso, ma anche artistico fra Niki Jean Tinguely li stimola a sperimentare ed a produrre insieme diverse  pere pubbliche e monumentali dove il contrasto delle strutture a macchina  nere, industriali e maschili di lei si fondono e si  contrappongono alle sinuose, colorate ed allegre figure femminili di lei. Anche qui Niki rovescia i ruoli canonici affidati ad uomo e donna dichiarando che Jean in quanto creatore che della struttura in metallo ne è la madre, mentre  lei, che le riveste e colora, ne è il padre che impone loro il proprio desiderio. Le opere pubbliche e monumentali  più importanti realizzate dai due artisti sono: Le Paradise Fantastique cheviene realizzato dai due artisti per il padiglione francese all’Expo di Montreal del 1967. L’opera è composta da nove sculture colorate e tondeggianti  realizzate da Niki de Saint Phalle che vengono attaccate dai sei macchinari neri realizzati da Tinguely. Il tema rappresentato è quello di una   battaglia d’amore in cui non esistono vincitori, ma in cui gli opposti (nero/colori, movimento/stasi, maschile/femminile)coesistono in completa  armonia.

N. de Saint Phalle – J. Tinguely, Le Paradis Fantastique,Poliestere rinforzato con fibra di vetro verniciato, metallo verniciato, radice d’albero, cinghie i Musée d’art moderne, Stockholm, 1967.

.  Le Dragon (1973-75) che è il primo ambiente abitabile realizzato dalla scultrice, nasce come casa gioco per il figlio del collezionista belga Roger Nellens, ha la forma di un drago colorato internamente arredato da Tinguely e De Saint Phalle e da cui si può uscire anche  attraverso un scivolo posto come lingua all’interno nella sua bocca. Per un breve periodo fu abitato da Keith Haring – che ottenne dall’artista il permesso di decorarne l’interno –  ed oggi è uno dei monumenti storici del Belgio.

Niki de Saint Phalle – JeanTinguely – Keith Haring, Interno Le Dragon, 1973-1975.

Ed infine, La Fontana Stravinsky. Realizzata nel 1983 per il Centre Pompidou, è forse, l’opera più famosa del duo artistico che, fra giochi d’acqua , in un racconto meraviglioso mescola i macchinari di Tinguely, le sculture colorate di De Saint Phalle ai simboli  più cari al compositore russo Stravinsnky, in particolare quelli legati al mondo circense.

Niki de Saint Phalle – Jesn Tinguely, Fontana Stravinsky, Piazza Igor Stravinky, 1983, Centre Pompidou, Parigi

Il Film Daddy

Nell’estate del’72 Niki de Saint Phalle conosce il regista Peter Whitehead e con il suo aiuto realizza il suo primo film: Daddy (1973), con cui esorcizza la sua vita di donna, l’esperienza dallo psichiatra e l’incesto subito da bambina. Nella pellicola performa nuovamente i Tirs, stavolta uccidendo il padre ben 17 volte. Daddy però non è una vendetta contro il padre, né è un ritratto grottesco della sua famiglia. Seppur ispirato a fatti autobiografici, nasce come strumento per parlare dell’oppressione del sistema patriarcale della assoluta necessità che essa venga sradicata. Daddy, infatti, racchiude in una sola persona tutte le caratteristiche malate presenti nella società degli uomini, come il culto machista della civiltà occidentale e la sua tendenza alle intolleranze verso le minoranze siano esse donne, persone di colore o omosessuali. Ovviamente, l’opera generò grande scalpore ed indignazione nella società del tempo, soprattutto all’interno della famiglia di Niki, che non solo aveva reso pubblico l’incesto, ma aveva anche offeso la memoria del padre defunto. L’unica a difenderla e comprenderla fu la madre. In tal modo, però, Niki esorcizza il dolore più grande della sua vita, perdona il padre e si riappacifica con la madre che – seppur non l’ha mai supportata nella sua carriera – le ha comunque dato la forza per reagire e cambiare il suo destino, affermandosi come donna ed artista.

Il Giardino dei Tarocchi

Niki de Saint Phalle, Giardino dei Tarocchi, 1978-1998, Garavicchio, Toscana

Nel ‘55 Niki de Saint Phalle visita la Spagna ed il Parc Güell , si innamora delle architetture di Gaudì e sogna un giorno di poter creare un proprio parco monumentale. L’occasione fortuita che da il via al suo sogno avviene nel 1977 quando,  in Svizzera – dove si trova per motivi di salute – incontra Marella Agnelli, ricca collezionista italiana. Niki racconta a Marella il suo sogno ed il desiderio che il suo parco venga edificato in Italia, paese che ama tanto. Marella Agnelli, ne è subito entusiasta . La mette quindi in contatto con i fratelli Caracciolo, nobili italiani che posseggono un terreno a Capalbio, che potrebbe fare al caso dell’artista. Niki si reca allora in Toscana, vede il terreno e se ne innamora. Così nel 1978 inizia i lavori di quello che sarà Il Giardino dei Tarocchi. I lavori dureranno, però,  circa 20 anni. Niki, infatti, per avere piena libertà sull’opera sarà costretta ad autofinanziarsi. Per racimolare il denaro necessario procederà quindi, con la vendita in serie  delle sue Nanas ,alla creazione di un proprio merchandising per la vendita di vestiti, accessori, libri, gioielli ed un profumo che porteranno il suo nome. Il tema scelto da Niki per il suo parco monumentale  è quello dei tarocchi, carte che da sempre hanno una forte fascinazione su di lei e che sono per lei custodi e guida del  suo destino. Crea quindi una piccola città fantastica, su modello di un antico borgo medievale, dove il visitatore –  separato dal mondo esterno, grazie alle mura sapientemente realizzate dall’architetto Mario Botta – si possa sentire in pace nella natura e dove possa intraprendere un viaggio iniziatico alla scoperta del proprio destino. Il parco è composto , quindi, da 22 sculture abitacolo,  rappresentanti i 22 arcani maggiori. Lo scheletro delle sculture è realizzato in acciaio, la  loro pelle è, poi, realizzata con una colata di cemento armato, il cui vestito sono poi le decorazioni fatte di colori, specchi, ceramiche e vetri di murano. Il visitatore che entra nel parco, ne è da subito estasiato! Non ha, però un percorso prestabilito da seguire.  Attraverso segnali,  indicazioni e domande – a cui dovrà rispondere di volta in volta – sceglierà da solo qual è il suo percorso iniziatico e terapeutico che fanno al caso. Gli specchi posti sulle sculture non solo lo guideranno, ma lo inviteranno a guardarsi dentro.

Prima e più importate fra tutte le sculture realizzate per il parco è sicuramente l’ Imperatrice, grande dimora atelier in cui Niki de Saint Phalle vivrà per sette lunghi anni. Essa rappresenta una sorta di grande madre a capo di questa ipotetica società matriarcale armonica, ecologica e multiculturale che è, appunto il parco dei tarocchi. Società in cui la stessa artista dimora, insieme ai suoi collaboratori. Per la realizzazione del suo monumentale Giardino dei Tarocchi, Niki de Saint Phalle avrà, infatti,  bisogno dell’aiuto di molti artisti e maestranze specializzate, che guiderà e dirigerà per anni e che diventeranno per lei una seconda famiglia. L’imperatrice è dunque una sorta di alter ego dell’artista che fa finalmente pace con la figura della madre, non più vista come succube dell’uomo e della società, ma come donna forte capace di dividersi  sapientemente fra  la sfera privata (prendendosi cura della sua famiglia/collaboratori) e quella  pubblica (realizzandosi professionalmente  e stando a capo della società).

Niki de Saint Phalle, Imperatrice (esterno), 1978-1998,Giardino dei Tarocchi, Garavicchio

Durante e contemporaneamente al giardino dei Tarocchi Niki de Saint Phalle, da vita a opere che prendono il nome di Skinnies , opere del tutto diverse dalle Nanas e dalla sue sculture precedenti. I problemi che Niki ha ai polmoni  e che le sono sopraggiunti lavorando e respirando materiali sintetici, la portano ad avere mancanza di aria e ricercala attraverso le sue nuove sculture ora composte da sagome esili, aerose, ed illuminate da piccole lampadine colorate. Sono la trasfigurazione artistica della sua lotta alla malattia ai polmoni e per la prima volta raffigurano non più donne, ma uomini non più raffigurati come animali o mostri, ma dall’aria delicata e benefica (L’eremita e L’appeso).

Niki de Saint Phalle, Le pendu, 1988, poliestere dipinto,250x100x10 cm, Giardino dei Tarocchi, Garavicchio

Obelisques, Prophetes e Dieux

L’amore per la mitologia, soprattutto quella Egizia, è presente in molte opere di Niki de Sain Phalle. In particolare nei suoi Obelisques, serie di sculture falliche decorate con motivi gioiosi dipinti su  mosaici e realizzate dal 1987. Tali opere nascono come offerta votiva dell’artista per tutti coloro che sono morti o erano stati colpiti dall’Aids altro tema a lei molto caro che affronta e declina dal 1983 in poi, anche attraverso manifesti, film di prevenzione per adolescenti, dichiarazioni pubbliche e  libri. Scrive ed illustra, in particolare il libro AIDS: you Can’t Catch it Holding Hands, libro scritto sotto forma di lettera indirizzata al figlio Philip in cui, con l’aiuto di un immunologo,  veicola informazioni sulla diffusione del virus. In un periodo storico in cui era un tabù parlare di infedeltà, sesso ed omosessualità ed in cui, soprattutto, dilagavano discorsi omofobi e razzisti, Niki, ancora una volta in maniera rivoluzionaria,  invita le persone a fare prevenzione,  ad amarsi,  ad essere solidali ed empatiche con il prossimo. Dello stesso periodo degli Obelisques sono anche sculture legate alla cultura sumerica ed ebraica (Le Sage, le Prophete e l’Oracle) e la serie dedicata agli Dei (Anubis, Horus e Théoris) per cui utilizza per la prima volta il metallo.

Niki de Saint Phalle, Trilogia des obelisques, scultura in laminato, poliestere e vernice poliuretanica su legno e sabbia, 167 x 145 x 135 cm, 1987

Les Tableaux Eclatès

Alla morte dell’amato marito Jean Tinguely, Niki decide di creare qualcosa che possa rendergli omaggio. Con l’aiuto dell’architetto e scultore Mario Botta decide quindi di creare in onore del compagno un museo a Basilea che verrà iniziato nel ’91 e sarà inaugurato nel ’96. Nel mentre, con l’aiuto di un ingegnere elettrico da vita ai suoi primi  Tableaux eclatès, rilievi pittorici e cinetici che, bruciano, esplodono per poi ricomporsi in altra forma. Con i Tableaux Eclatès Niki, apportando movimento alle sue opere , vuol ricreare quell’unione perfetta fra il linguaggio tipico della sua arte e di quella del marito. Il suo scopo è quello  di mostrare come la realtà sia in continuo mutamento, ma anche di creare stupore e voglia di scoperta nel visitatore.

Niki de Saint Phalle, Ganesh II, Vernici, resine sintetiche, legno, metallo, plastica, motori elettrici e componenti elettronici su legno, 130 x 89.9 cm, 1992, Image courtesy of the artist and Salon 94, New York. © Niki de Saint Phalle. Photo: Matthew Praley
 

Black Heroes e Queen Califa’s  Magical Circle

Nel 2000, nei sui ultimi anni di vita Niki de Saint Phalle, nonostante la malattia, non  perde la voglia di creare. Sempre più sensibile alla lotta per i diritti civili delle minoranze, realizza prima una serie di opere in cui celebra alcune grandi figure afroamericane ed intitolata Black Heroes ed, infine, progetta un secondo parco di sculture dedicato  alla popolazione nativa americana ed alla regina Califa. Il parco, inaugurato nel 2003 – poco dopo la morte dell’artista – prende, di fatto, il nome di Queen Califa’s  Magical Circle ed è dedicato a Califa: regina guerriera, dalla pelle nera che era a capo di un esercito di donne guerriere e che la leggenda vuole abbia fondato lo Stato della California. Il parco è stato realizzato vicino San Diego e vuol rendere omaggio alla ricchezza de pluralismo culturale e religioso, oltre a voler celebrare un’eroina dalla pelle nera, riscrivendo una storia più egualitaria in cui donne e minoranze etniche non risultino più invisibili.

Niki de Saint Phalle, Queen Califa’s magic circle, Escondido, California, 2003

Niki de Sain Phalle ed il femminismo

Come abbiamo visto, Niki de Saint Phalle è stata tutti gli effetti  un’artista protofemminista, antesignana del movimento femminista e delle sue lotte. Per questo motivo, viene sempre associata al femminismo nonostante lei stessa scherzasse sull’esserlo o meno, definendosi femminista, ma non parte del Movimento femminista. Niki odiava, infatti le etichette  e  fu spesso criticata e non sempre compresa dalle femministe e dalla critica femminista del tempo.  Queste ultime (o almeno quelle americane) non le perdonavano infatti la fama raggiunta in un ambiente prettamente maschile ,il non essere rimasta un’artista di nicchia per la critica, la sua presunta adesione alla pop art, ma soprattutto, l’utilizzo che Niki faceva  della propria  immagine pubblica (a volte abbastanza femminile e sensuale), per veicolare la propria arte, risultando incoerente con le tematiche femministe che invece trattava nelle proprie opere. Niki però rivendicava (in accordo con il femminismo francese) proprio questo:  il suo diritto come donna di essere sensuale e femminile e di essere al contempo credibile come artista e come paladina nella lotta per i diritti delle donne. L’arte di Niki de Saint Phalle risponde a tutti gli effetti  ad un intento femminista ed è e può essere considerato tale, così come lei. Vuole, però,  andare oltre le etichette limitanti di artista donna e artista femminista e non vuole che la sua arte sia associata e limitata solo a questo ed  alla questione femminile. Come abbiamo visto, la sua è un arte di rivoluzione, ma di  rivoluzione totale che vuole cambiare la società e la cui guida è affidata alle donne. Rifiutando gli appellativi di artista femminista, artista donna, o artista delle donne, non nega al sua adesione ed il proprio coinvolgimento alla causa femminista, ma anzi vuol renderla universale,  capace di arrivare a chiunque si senta escluso, dandogli modo di potersi immedesimare, in qualsiasi contesto e momento storico esso si trovi . Ed è proprio questo che fa si che la sua arte, sfidando stereotipi di genere e di razza, parlando di omofobia e di AIDS, fino  ed abbracciare la causa ecologista che la rende ancora cosi attuale!

Fonti consultate:

  •  Irene Beratgnin, Niki de Saint Phalle.La sfida di esporre un’eroina, in ARTYPE/aperture sul contemporaneo, n. 18, 2024;
  • Giulio Pietromarchi, Niki De Saint Phalle .The Tarot Garden, Benteli, Berna 1997;
  • Pia Rosenberger , L’artista delle donne. Vita di Niki de Saint Phalle, Neri Pozza Editore, Vicenza, 2022;
  •  Marco Ongaro, Psicovita di Niki de Saint Phalle, historica edizioni, Cesena, 2015.
  • https://ilgiardinodeitarocchi.it/

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