una pallida icona
La rubrica che state leggendo, Riflessi, prende ispirazione dalla memoria e dal riverbero delle parole. Quante volte sentiamo (o non sentiamo) una parola, quante volte una parola viene ripetuta, svuotata di significato, usata, spiegata, fraintesa etc. Soprattutto in un’epoca come la nostra, quella della iper-comunicazione digitale, le parole possono viaggiare nell’etere, arrivare lontano; ma anche perdersi, inflazionarsi, echeggiare senza essere ascoltate: come se le tribù digitali vivessero in un’enorme foresta, grande al punto che la voce non arriva.
Ecco, per questo quarto appuntamento, mi piacerebbe tirar fuori la parola pace: parola breve, quattro lettere in italiano, ma pesantissime oggi. Parola molto ripetuta e spesso fraintesa. Mi ricordo di essa sin da piccolissimo: fai la pace quando si litigava con qualcuno; scambiatevi un segno di pace, quando, sempre da piccolo, ero trascinato nelle liturgie cattoliche; ho bisogno di pace; che pace! Era una parola comune, che permeava anche la vita quotidiana. Poi crescendo ho scoperto che era una parola importante: la si invocava per fermare la guerra, ritornare alla pace, promuovere la pace, firmare dei trattati di pace. L’ho vista scritta nelle bandiere arcobaleno che volevano fermare le invasioni americane in Afghanistan e in Iraq. Poi piano piano mi è sembrato che questa parola si sentisse sempre di meno. Erano smesse le guerre? Non credo? Era forse arrivata finalmente la pace e non c’era bisogno più di invocarla? Gli uomini, finalmente, avevano smesso di scambiarsi solo un segno di pace e avevano portato sulla terra l’idea stessa della pace? Niente di più lontano. Se avessi chiuso gli occhi all’epoca delle bandiere e della pace chiesta agli USA e li avessi riaperti appena quattro anni fa, avrei sentito un grande silenzio della parola pace. Altre parole dominavano la scena, parole diverse (contagio, epidemia, confine, lock-down e infine la sorella nemica: guerra). Negli ultimi anni, devo dire (ma l’attenzione è soggettiva e selettiva) che ho sentito innumerevoli volte la parola guerra rispetto alla parola pace.
pax
Il termine pace deriva dal latino “pax” che designava la pace come concetto, ma che allo stesso tempo indicava anche il nome di un’antica divinità (minore) del pantheon romano. Per guadagnarsi un posto tra le divinità più importanti, però, la nostra cara Pax dovette aspettare Augusto, che ne stabilì il culto e così poté comunicare all’intera ecumene romana che il tempo delle guerre fratricide era terminato. Iniziava un periodo di pace e prosperità, la pace romana (pax romana), un periodo in cui la politica di Ottaviano mette fine ad un lungo periodo di guerre fratricide iniziate con Mario e Silla, proseguite con Pompeo e Cesare e terminate con Ottaviano, che poi diventerà Augusto. Per dare un ordine di grandezza, dall’86 a.C. al 31 a.C. delle fazioni si contrapposero in sanguinose guerre civili, cinquantacinque anni di instabilità politica e violenza. La pace quindi viene stabilita dall’alto, sembra essere un fatto politico, non un’aspirazione; sembra la sospensione della normale attività bellica propria del popolo romano (anche perché le guerre civili proseguiranno alla fine della dinastia giulio-claudia iniziata da Augusto, o da Cesare se preferite). Eppure no, per i romani non c’era niente di più anormale che quella guerra civile e quindi niente di più desiderabile che la pace. Il bellum iustum è la guerra che Roma fa – ufficialmente – per aiutare i popoli alleati e – ufficiosamente – per espandere il proprio dominio. Ma la guerra tra fratelli, tra concittadini è una sciagura umana certo, ma soprattutto politica. Essa mina le basi dell’ordine della società, precipitandola nel caos. La pace è ordine, armonia, bellezza, poesia. La pace è il tempo della parola poetica (Virgilio, Orazio) e di quella politica, sebbene la libertà verrà a mancare a poco a poco, un po’ come l’ossigeno in una stanza chiusa e affollata. La pace è il tempo dell’otium, dello studio, della memoria; al contrario del tempo della guerra fatto di istinti, impulsi, mancanza di ragione e violenza.
Tum genus humanum positis sibi consulat armis,
inque vicem gens omnis amet ; pax missa per orbem
ferrea belligeri conpescat limina Iani.
Allora il genere umano, deposte le armi,
pensi al proprio bene e tutte le genti si amino vicendevolmente ;
la pace diffusa per il mondo blocchi le ferree porte di Giano portatore di guerre.
Così canterà Lucano poco più che ventenne nella Pharsalia alcuni decenni dopo l’inizio dell’età augustea, ricordando il dolore della guerra e la speranza della pace.
eirini
Esistette una pace che non fu solo una pace politica, una pace che era desiderio dell’uomo, intima aspirazione di benessere sociale? Per cercarla io andrei indietro negli anni: 421 a.C. Anche qui una pace che è tregua di una guerra civile, quella che insanguina la Grecia e contrappone Atene a Sparta: la guerra del Peloponneso. Nella commedia di Aristofane Pace, un semplice vignaiolo ateniese Trigeo decide di volare su uno scarabeo gigante verso l’Olimpo. Il motivo? Chiedere agli dèi stessi la liberazione di Eirini, dea della pace (Ειρήνη ancora oggi in greco moderno indica sia il nome “Irene” che la parola “pace”) e la fine della guerra del Peloponneso. Quando arriva sull’Olimpo però vede che gli dèi hanno abbandonato la loro sede, disgustati dalla cattiveria degli uomini. A comunicare a Trigeo questo triste accaduto è proprio uno degli dèi olimpici, Hermes, rimasto lì a sorvegliare le provviste degli dèi. Eirini – la Pace -è imprigionata in un antro scuro da Polemos (personificazione della guerra) e dal suo servo Tumulto. Entrambi i due tipacci, oltre ad avere sequestrato la dea della Pace, sono impazienti di continuare il loro lavoro: pestare in un mortaio le città della Grecia, fino a disintegrarle. L’unico problema è che gli manca il mortaio per continuare il loro lavoro, cioè un uomo capace di fare la guerra senza pietà e continuare la lotta fratricida tra le poleis greche. Infatti, i due uomini-mortaio che finora avevano imperversato nelle battaglie (Cleone, politico ateniese e Brasida, generale spartano) sono morti. A Trigeo si illumina una lampadina: bisogna chiamare a raccolta tutti i Greci e così liberare Eirini dalla sua prigionia. Finale della commedia: Pace sarà liberata dal suo antro-prigione sotterraneo, insieme ad altre divinità allegoriche che simboleggiano la ricchezza e la fecondità: sarà bandita la vendita delle armi e delle armature, si smetterà di mangiare solo pane, cacio e cipolla e non ci sarà bisogno di consumarci l’esistenza in terribili guerre. Beh, grazie Aristofane, per questa perla.
l’enigma della pace
La Pace è un enigma e credo sia difficile rispondere alle domande che ci impone. La pace è un affare politico o un bisogno umano? È necessaria la guerra perché ci sia la pace? Se davvero la pace è così auspicabile, così desiderata, perché è così rara e fragile? Come fanno gli uomini a violarla costantemente ben sapendo e ricordando l’orrore della guerra? Ovviamente non credo ci sia una risposta sola, o per lo meno, non credo sia possibile trovarla qui. Però immagino che ci possa essere un punto di partenza e ce lo offre Aristofane. L’idea di Trigeo è quella di liberare la pace e per farlo non può che chiedere aiuto agli altri Greci, senza distinzione di cittadinanza, Ateniesi o Spartani che siano. È secondo me, in questa individuazione e riconoscimento dell’altro come un complice, un aiutante per un benessere comune che si possono ritrovare le basi per la liberazione di Eirini. La pace è un bisogno individuale, comune è lo sforzo per liberarla dalla prigionia in cui i pestelli della guerra la rinchiudono. Vorrei con le parole di Rodari provare a tornare bambini e provare a fare la pace.
Dopo la pioggia
Dopo la pioggia viene il sereno
brilla in cielo l’arcobaleno.
È come un ponte imbandierato
e il sole ci passa festeggiato.È bello guardare a naso in su
le sue bandiere rosse e blu.
Però lo si vede, questo è male
soltanto dopo il temporale.Non sarebbe più conveniente
il temporale non farlo per niente?
Un arcobaleno senza tempesta,
questa sì che sarebbe una festa.Sarebbe una festa per tutta la terra
fare la pace prima della guerra.