Profondo è sempre stato il legame tra l’ambiente e le discipline tradizionali, ad esempio con le arti figurative, l’economia, l’agricoltura, la biologia; e, spesso, questa relazione ha condotto gli esponenti dei settori interessati a ripensare l’identità della disciplina: da qui nascono per esempio la bioarchitettura, o la land art.
Bisogna, allora, ricordare che soprattutto la letteratura fa parte di queste cosiddette realtà tradizionali, e, come esponente di spicco, ha già intrapreso un dialogo, che ha ottenuto la considerazione di moltissimi studiosi, i quali hanno evidenziato come tale rapporto può, senza alcun dubbio, contribuire all’evoluzione del modo in cui ci orientiamo eticamente nel nostro rapporto con il mondo non umano.
A questa pratica di riflessione e di critica è stato dato il nome di ecologia letteraria o, per citare il termine di origine inglese da cui ha origine, di ecocriticism, che potremo dunque definire, menzionando lo studio che per primo ne ha trattato (Meeker, 1972), come:
lo studio dei temi e delle relazioni biologiche che appaiono nelle opere letterarie. Allo stesso tempo, è il tentativo di scoprire qual è il ruolo giocato dalla letteratura nell’ecologia della specie umana.
A queste notizie e nozioni, è necessario aggiungere anche che l’idea classica di paesaggio come rappresentazione della natura è entrata in crisi almeno dall’era della rivoluzione industriale, anzi sarebbe addirittura più opportuno ammettere come in realtà a meravigliarci maggiormente sia, oggi, una verde distesa fiorita o un frusciante corso d’acqua che un centro abitato o il traffico cittadino: domina, dunque e definitivamente, una senso di assuefazione al panorama urbano e alla grande macchina-città.
Con tali premesse, gli studiosi del campo (Serenella Iovino e Niccolò Scaffai, tra gli studiosi italiani più appassionati) hanno individuato una serie di scrittori della seconda metà del Novecento italiano, per i quali l’ecologia ha assunto la funzione di una formula o di una metafora attraverso cui esemplificare e descrivere dinamiche di tipo storico o antropologico-sociale; tra questi vi è Italo Calvino (insieme a Pierpaolo Pasolini, Paolo Volponi e altri) che è stato testimone vivido e vivente del sicuramente doloroso passaggio della società da rurale a industriale, e con esso di tutti gli stravolgimenti e le alterazioni socioeconomiche dell’ecosistema-Italia del secondo dopoguerra.
Italo Calvino ha certamente compreso, unico tra molti, la necessità di una rappresentazione del paesaggio come materia ibrida e volubile, continuamente sottoposto alle spietate leggi dell’antropocentrismo; ed è nell’immagine di una delle sue città invisibili che più espelle roba più ne accumula che rivediamo noi stessi, quelli di allora e quelli di oggi.
Proprio in questa tensione surrealistica e paradossale è possibile cogliere la cifra dello sguardo ecologico calviniano: la constatazione della fine non è – a detta di Calvino – la storia da raccontare, piuttosto la constatazione più fastidiosa del degrado e della fallimentare relazione tra genere umano ed ambiente circostante.
Le città invisibili o dell’ecologia
La prima edizione Einaudi de Le città invisibili di Italo Calvino risale al 1972; già dal 1964, però, lo scrittore viveva a Parigi, dove era entrato in contatto con l’ambiente letterario sperimentale dell’OuLiPo e con Raymond Queneau: è in questo contesto che nascono e si evolvono Le città invisibili ovvero in quella fase della sua produzione letteraria considerata di adesione al gioco combinatorio e teorizzata nel saggio dal titolo Cibernetica e fantasmi: appunti sulla narrativa come processo combinatorio. La logica combinatoria, fondata sulla corrispondenza tra invenzione letteraria e funzionamento delle macchine, dunque, è alla base del ragionamento calviniano sui meccanismi narrativi, così resi efficaci dal grado di consapevolezza che riescono a scatenare nel fruitore. Le città invisibili, considerate da questa prospettiva, innescano pertanto una riflessione continua sugli ingranaggi narrativi e una costante ricerca intertestuale.
Il romanzo è una raccolta di cinquantacinque micro-storie, suddivise in undici sezioni. Le città sono invisibili al loro sovrano, il Kublai Kan, Gran Kan dei Tartari, che viene a conoscenza grazie a Marco Polo delle loro caratteristiche architettoniche, paesaggistiche, culturali e sociali, ma anche relative al loro rapporto con la natura.
Ma vediamo cosa l’autore stesso ci ha raccontato della sua opera, durante un intervento nel 1983 alla Columbia University di New York:
Nelle Città invisibili non si trovano città riconoscibili. Sono tutte città inventate; le ho chiamate ognuna con un nome di donna. […] Credo che non sia solo un’idea atemporale di città quello che il libro evoca, ma che vi si svolga, ora implicita ora esplicita, una discussione sulla città moderna. […] Oggi si parla con eguale insistenza della distruzione dell’ambiente naturale quanto della fragilità dei grandi sistemi tecnologici che può produrre guasti a catena, paralizzando metropoli intere. La crisi della città troppo grande è l’altra faccia della crisi della natura.
Calvino riflette sulla precarietà dei sistemi ecologici e dei sistemi tecnologici: Le città invisibili si inseriscono a pieno titolo in un percorso di attenzione per il mondo naturale che colloca il suo fulcro nella relazione fra l’uomo e la dimensione-città e fra di esso e la dimensione-natura, incanalandosi nel solco dell’attuale e preoccupante dibattito sull’ambiente.
Olivia o della doppiezza
Olivia è l’ultima città nel percorso dei segni, città di ipotesi e menzogne, perché su Olivia si può solo supporre. La sua civiltà è sopraffina, se osserviamo da un punto di vista meramente architettonico e decorativo, ma l’incessante attività che si svolge ad Olivia la sporca di fuliggine e d’unto: città come questa sono considerate da Calvino doppie, poiché il punto di vista dell’osservatore ne cambia la forma e l’aspetto, rendendole malleabili.
Se ti descrivo Olivia, città ricca di prodotti e guadagni, per significare la sua prosperità non ho altro mezzo che parlare di palazzi di filigrana con cuscini frangianti ai davanzali delle bifore; oltre la grata d’un patio una girandola di zampilli innaffia un prato dove un pavone bianco fa la ruota. Ma da questo discorso tu subito comprendi come Olivia è avvolta in una nuvola di fuliggine e d’unto che s’attacca alle pareti delle case; che nella ressa delle vie i rimorchi in manovra schiacciano i pedoni contro i muri.
Gianni Celati, citando la descrizione della città, ha parlato di un processo di derealizzazione che, insieme ad un profondo relativismo prospettico, è centrale, non solo nella descrizione puntuale di Olivia, ma nella struttura complessiva dell’opera. Ogni cosa rievoca il suo contrario ad Olivia: se la si descrive ricca e prosperosa, se ne coglierà, al contempo, un’omissione sui suoi lati sporchi e chiassosi.
La polemica sulla realtà industriale delle metropoli è palese e lascia trapelare un messaggio politico tendente alla demitizzazione delle rappresentazioni di ricchezza e di bellezza, mostrandone il lato omesso del degrado. In Olivia rivivono le menzogne della metropoli contemporanea, che dietro i giochi di luci, le vetrine lussuose e i quartieri chic dei centri storici nascondono un più realistico e atroce misero buco nero di mosche.
Leonia o dello scarto
Tramite la descrizione della città di Leonia possiamo osservare una consueta struttura dicotomica calviniana: al suo interno i concetti di purezza e impurità si alternano, intervallandosi a quelli di utile e scarto. La problematica principale di Leonia, collocata tra Le città continue, è quella dei rifiuti.
Pare che quello dei rifiuti fosse un tema molto sentito da Calvino alla fine degli anni ‘70. Su questo argomento scrisse addirittura un saggio ricco di considerazioni: «buttare via è la prima condizione indispensabile per essere, perché si è ciò che non si butta via», scriveva per marcare ciò che resta come ciò che ci definisce e ciò che si scarta come appartenente alla sfera della memoria.
La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni: ogni mattina la popolazione si risveglia tra lenzuola fresche, si lava con saponette appena sgusciate dall’involucro, indossa vestaglie nuove fiammanti, estrae dal più perfezionato frigorifero barattoli di latta ancora intonsi, ascoltando le ultime filastrocche dall’ultimo modello d’apparecchio.
Leonia, dunque, rifà se stessa tutti i giorni, e getta via il vecchio di appena un giorno, vivendo una situazione costante di spreco. A Leonia gli spazzaturai sono protagonisti: portano fuori dalle mura gli scarti dei cittadini e puliscono non solo le strade, ma persino la coscienza degli abitanti, pronti il giorno dopo a produrre nuove cose da gettare immediatamente insieme agli scarti di coscienza.
#oikos o della letteratura
Ammetto che non è stato facile trovare un modo per parlare di letteratura senza cadere nella trappola del già detto. Come in altre occasioni, anche questa volta Italo Calvino mi ha aiutata nel processo.
Che cos’è, allora, #oikos?
Partiamo da qui: recentemente, ho letto un ottimo libro dal titolo La letteratura ci salverà dall’estinzione
di Carla Benedetti; verso la fine del volume l’autrice scrive:
Paradossalmente, pensarsi come le ultime generazioni prima della fine può avere come effetto perverso anche quello di fare di nuovo del nostro presente un periodo storico denso di significato, anche se drammatico.
Questa riflessione intensa, e dolorosa anche, mi ha fatto sentire l’urgenza di valutare questo punto di vista. A questo punto, è venuta fuori l’idea di #oikos che coniuga al suo interno i concetti di ecologia e di casa, quest’ultima intesa come quel luogo sicuro che per me è la letteratura. Pertanto, le finalità di #oikos sono quelle di lasciare che la letteratura entri in contatto con la materia ecologica, indagando i possibili esiti narrativi e le numerose declinazioni semantiche.
Userò le parole di Serenella Iovino per concludere questa concisa spiegazione e questo primo breve lavoro:
Se ecologia è interconnessione di forme di vita, questo è un progetto ecologico. Perché anche le idee sono una forma di vita, e pensare (e pensarsi) insieme è l’unica possibile strategia di sopravvivenza.
Fonti consultate:
Benedetti, Carla. 2021. “La letteratura ci salverà dall’estinzione.”
Calvino, Italo. 1983. “Italo Calvino on” Invisible Cities”.” Columbia: A Journal of Literature and Art: 37-42.
Calvino, Italo. 2012. Le città invisibili. Edizioni Mondadori.
Ferroni, Giulio. “Ricostruzione e sviluppo nel dopoguerra (1945-1968).” Storia della letteratura italiana, Roma, Laterza.
Joseph, Meeker. 1972. “The Comedy of Survival.” Studies in Literary Ecology.
Niccolò, Scaffai. 2017. “Letteratura e ecologia.” Forme e temi di una relazione narrativa, Roma, Carocci.
Serenella, Iovino. 2006. Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza. Milano, Edizioni Ambiente.