Fra la fine del XII e inizio del XIII sec., l’arte medievale occidentale subisce un revival del Classicismo, denominato dalla critica come stile 1200. Con tale denominazione, non si intende uno stile formale unitario vero e proprio, ma una categoria storiografica convenzionale che riunisce opere, scuole e artisti diversi accomunati dal gusto classicheggiante e dal solenne naturalismo che pervade la cultura figurativa occidentale nel passaggio fra il romano ed il gotico. A spianare la strada all’avvento del gotico, in questo intermediario stile 1200, è soprattutto l’oreficeria.
Nel XII secolo, in particolare, la tecnica dello smalto si perfeziona e si affina, con l’introduzione della tecnica dello Champlevè. Tale tecnica prevede che l’alveolo, in cui va stesa la pasta vitrea, venga inciso e scavato direttamente nella lamina di metallo (oro in prevalenza), per far prevalere lo smalto su di esso, fino a farlo scomparire dalla figurazione. Questa tecnica si afferma nelle botteghe orafe del Reno e della Mosa (l’area tra i fiumi Reno e Mosa è un importante centro di produzione orafa per tutto il XII e l’inizio del XIII con le città di Verdun, Metz – famosa per la produzione di manufatti in avorio – e di Reims– importante centro dell’arte carolingia per la miniatura).
La bottega mosana, soprattutto, si distingue per la modernizzazione degli stilemi bizantini con l’introduzione nello smalto di motivi della contemporanea arte miniaturistica. L’apice dall’oreficeria mosana è raggiunta da il più importante interprete della bottega: l’orafo Nicolas de Verdun (Verdun, 1130 circa – Tournai, dopo il 1205). Egli è il più precoce e principale artista dello stile 1200 tanto che le sue grandi doti artistiche, lo resero uno dei più importanti artisti dell’arte medievale, capace di competere con i più grandi pittori e scultori dell’epoca. A lui vengono attribuite solo tre opere: l’altare per Klosterneuburg (l’unico firmato), il reliquario dei Magi di Colonia ed il reliquiario di Tournai.
L’altare dell’Abbazia di Klosterneuburg
Klosterneuburg è una cittadina non molto distante da Vienna ed è famosa principalmente per un’abbazia, fondata da Leopoldo III di Babenberg (Santo patrono dell’Austria), nel 1114. Al suo interno, è custodito l’altare di Klosterneuburg, una delle più importanti opere di oreficeria medievale.
La sua originaria funzione era di rivestimento ad un pulpito all’interno dell’abbazia. Nel 1330, dopo che un enorme incendio colpì l’edificio sacro, poiché alcuni smalti andarono perduti nel rogo, il prevosto dell’abazia commissionò a un’officina orafa viennese sei nuovi smalti a sostituzione di quelli perduti. In quell’occasione, le tavole in legno e gli smalti che facevano da rivestimento al pulpito, furono ridisposti a formare una pala d’altare – con corpo centrale e ali laterali – cui furono aggiunti sul retro quattro dipinti a tempera. L’attuale posizione, sopra la tomba di San Leopoldo – nella cappella di San Nicola – risale, invece, al 1833.
Nell’iscrizione dedicatoria dell’altare è riportato il nome dell’artista: “A te, Vergine Maria, Wernher dedica quest’opera fatta da Nicolaus di Verdun”.
Il titolo dedicatorio dell’altare indica anche la data in cui fu realizzata l’opera, il 1181, ma, data la sua complessità, è ipotizzabile che ci vollero diversi anni prima che fosse portata a compimento. L’opera realizzata dall’orafo per Klosterneuburg consistette in tre tavole decorate da 51 smalti champlevé su fondo d’oro smaltato in blu. Lo smalto blu dello sfondo delle scene serviva a mettere ancora più in evidenza le figure realizzate incidendo nel prezioso metallo. Mentre, i colori degli altri smalti con cui le scene sono realizzate e, in cui prevalgono blu, azzurro e rosso (a differenza delle cornici che presentano anche altri colori), corrisponde, invece, ad una scelta cromatica ben precisa che prevede l’utilizzo di una gamma di colori limitata ma che rende la composizione equilibrata ed armoniosa. Nella stessa ottica anche la realizzazione del fondo del motivo decorativo architettonico a doppia colonnina che divide fra loro le varie scene – realizzato mescolando vari smalti per ottenere un effetto marmorizzato – e le varie iscrizioni e scritte dell’opera ottenute scavando la lamina metallica e riempiendo l’alveolo con uno smalto nero.
Il programma iconografico dell’opera è incentrato sulla salvezza divina, che mette in corrispondenza episodi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. La parte superiore illustra scene ante Legem e comprende il periodo che va dalla Creazione a Mosè. La parte inferiore è quella sub Legem e indica lo spazio di tempo compreso tra la consegna delle tavole della Legge a Mosè sul Sinai fino alla conclusione degli eventi dell’Antico Testamento. In questo periodo la rivelazione divina è appannaggio solo del popolo d’Israele. Infine, la parte centrale illustra il periodo sub Gratia, l’età messianica in cui gli esempi del nuovo testamento terminano con la Nuova Alleanza. Gli episodi, messi in parallelo, sono da leggersi verticalmente.
Dal punto di vista stilistico quest’opera presenta grandi novità: la tendenza classicheggiante della scuola mosana nell’inquadratura delle scene, il ritorno al naturalismo delle raffigurazioni delle figure (ora naturali nei gesti e negli atteggiamenti e libere nei movimenti, facendosi precursore degli esiti della scultura del secolo successivo) e l’evoluzione stilistica tra le prime e le ultime storie.
Il ritorno al naturalismo (sino ad allora dimenticato), ed una grande libertà anche rispetto alla componente spaziale, si possono notare, ad esempio, nelle figure che sembrano oltrepassare le cornici in cui sono inserite. Inoltre i corpi dei vari personaggi, sotto ai panneggi, riacquistano una propria solida volumetria, introducendo quello stile 1200 che rompe con la tradizione romanica precedente, a prevalenza stilizzata delle figure. L’area della Mosa, infatti, già, nel XII secolo presentava una svolta classicheggiante in rottura con la tradizione. Un esempio di ciò era il fonte battesimale della chiesa di San Bartolomeo a Liegi (raffigurante il Battesimo di Cristo e altri quattro episodi legati al rito battesimale), realizzato da Renier de Huy che Nicolas sicuramente conosceva, dato che il realismo delle dodici protomi di tori su cui poggiava la vasca bronzea di de Huy possono essere messe a confronto con lo smalto dell’altare raffigurante l’episodio del Mare di bronzo, in cui anche la vasca circolare era sorretta da dodici figure di tori. Così come importanti influenze stilistiche, sicuramente, erano arrivate a de Verdun, dalle città di Metz, famosa per la lavorazione di avori, e Reims, che eccelleva per la miniatura.
Nonostante il pregio e l’innovazione apportate dall’opera, a Klosterneuburg non vi furono produzioni artistiche influenzate da essa, il che fa ipotizzare che Nicolas de Verdun realizzò l’opera per klosterneuburg, ma non ebbe qui bottega.
Il reliquiario dei Magi
Conservato nel Duomo di Colonia, rispetto all’altare di Klosterneuburg considerato un’opera pittorica, in esso, invece, predomina l’aspetto scultoreo. L’opera è attribuita a Nicolas de Verdun per profonde comparazioni stilistiche, poiché non è firmata né, ad oggi, vi sono documenti che ne attestino la paternità. La rottura con l’arte figurativa romanica visibile, già nell’altare di Klosterneuburg, diventa ora evidente ed esplicita. L’opera consta di una sontuosa cassa reliquiario, realizzata come una microarchitettura, seguendo quello che era un modello assai diffuso nell’ area mosana. Essa, rappresenta, infatti, la riproduzione in miniatura di una basilica a tre navate con facciata a doppio ordine. Ai lati, all’interno di archi disposti su due livelli (il primo fatto di archi trilobati ed il secondo di archi a tutto sesto), sono inserite piccole sculture di profeti, patriarchi e apostoli realizzate con grande maestria. Seppur simili alle figure dell’altare di Klosterneuburg (qui, però, in versione tridimensionale), esse risultano essere ancora più agili, energiche e vitali.
Raggiungendo ed anticipando esiti che la scultura raggiungerà solo nei decenni successivi nelle sculture delle cattedrali di Chartres e di Reims. L’abilità e la maestria di de Verdun in questi piccoli capolavori, non riguarda solo la realizzazione del loro aspetto plastico, ma anche la competenza nella realizzazione e l’esperienza tecnica nell’utilizzo di diverse tecniche come gli smalti, le pietre dure semipreziose e i cammei, proprie sia dell’oreficeria che della scultura. Per quanto riguarda, invece, la cronologia dell’opera, essa è dibattuta ed incerta. Sappiamo che Federico I Barbarossa nel 1164 compì il saccheggio e la conquista della città di Milano e che, in quell’occasione, l’arcivescovo di Colonia, Rainaldo di Dassel, portò via dal sarcofago che le conservava nella Basilica di Sant’Eustorgio, le presunte reliquie dei Magi. La realizzazione di questo sarcofago destinato a contenerle, fu sicuramente realizzato dopo il 1198, anno dell’incoronazione del l’imperatore Ottone IV che donò oro e gemme per la realizzazione dell’opera, facendosi raffigurare sulla parte frontale di essa. L’intervento di Nicolas de Verdun sul reliquario è sicuro nelle sculture presenti sul livello inferiore di esso, ed è probabile si debba a lui l’intero progetto dell’opera; la cronologia di essa, però, risulta dilatata nel tempo e probabilmente previde l’intervento di diverse mani.
Il reliquiario di Notre-Dame a Tournai
Ultima opera attribuita al grande orafo mosano, anche se, rispetto al reliquiario di Colonia, l’attribuzione, in questo caso, è quasi certa. Vi è, infatti, un’iscrizione, presente su una copia ottocentesca, che non solo indica il nome dell’artista, ma anche il 1205 come data di realizzazione dell’opera.
Essa consiste in una cassa rettangolare con copertura a quattro spioventi, e riportanti raffigurazioni in argento ad alto rilievo sui lati brevi (Cristo fra gli angeli e l’Adorazione dei magi) e lunghi (scene dell’infanzia di Gesù), e medaglioni sulla copertura (raffiguranti scene della Passione e della Resurrezione) in cui i rilievi si fanno più bassi ed in cui l’impostazione classicheggiante è fortemente riconoscibile.
Essa è l’esempio lampante di come l’oreficeria di Nicolas de Verdun, abbia raggiunto vette altissime e abbia preparato il terreno per l’avvento dello stile gotico, attraverso lo stile 1200, e di come egli sia stato uno dei più grandi geni ed innovatori dell’arte medievale occidentale.
Fonti consultate
Fantelli, Pier Luigi. “LO SMALTO: TECNICA E STORIA”, in L’Arte dello smalto: Paolo de Poli.(1989): 13-17;
Fantelli, Pier Luigi (a cura di). “L’Arte dello Smalto: Paolo De Poli”. Padova: Arte grafica Bolzonella (1984);
Treccani. “Smalto.” data di accesso 15/09/2022. www.treccani.it ;
Treccani. “Pittura dal 1180 al 1260.” data di accesso 15/09/2022. www.treccani.it ;
Treccani. “Nicola di Verdun.” data di accesso 15/09/2022. www.treccani.it .