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Diario di bordo, a.D. 2023 – Il mondo si è svegliato blaterando di AI, acronimo che sta per artificial intelligence. In altre parole è quella roba che fa in modo che le macchine prendano il sopravvento sull’essere umano.
Se riescono ad imitarne le capacità mentali e motorie, pensa un po’ a cos’altro potrebbero fare….
Te lo dico io: musica.
Per chi è cresciuto a pane e Rock’n’Roll Robot di Roberto Camerini dal pop cristallino e cibernetico bzzz-bzzz ed intinto nell’atmosfera da computatore dei Kraftwerk – anche un po’ con l’androide sgarrupato di Paolo Villaggio in Grandi Magazzini, dai -, tutta questo surplus di tecnologia ha le sembianze di un sogno che prende vita.
L’AI va al di là di qualsiasi aspettativa, bella o brutta che sia.
Metto me stessa nel mucchio – selvaggio, e intimorito quanto basta – di quelli che si limitano a sognare lasciando che siano gli altri a fare valutazioni di carattere cibernetico. Quello che rimane piuttosto chiaro a tutti è come, oggi più di ieri, non sia necessario saper leggere lo spartito per creare una canzone, che non fatica a stupire considerati gli ultimi sviluppi musicali.
Il magheggio di un AI, in questo campo, è presto svelato: la chiave di tutto sta negli algoritmi.
Esistono programmi di composizione musicale che ti richiedono di selezionare dei parametri, te gli dai gli input che più ti aggradano in quel momento e loro esaminano tutto lo scibile musicale, un suono dopo l’altro, tirandoti fuori una composizione originale.
Il concetto di composizione originale è del tutto opinabile, sia chiaro… ma in realtà manco tanto.
Con molta fantasia lo si potrebbe vedere come il classico processo mentale del musicista che ha acquisito il suo bagaglio di sonorità che poi, vuoi o non vuoi, finisce dentro i pezzi che scrive.
Ai miei tempi, senza troppe pretese, le avremmo chiamate “influenze”.
Quello che è decisamente opinabile è che queste creazioni abbiano un qualcosa di sentito, quel calore umano che fa parte di un vissuto e che consente all’ascoltatore di tuffarsi nello stato d’animo di chi compone, immedesimandocisi e affezionandosi ad una melodia, a delle parole o ad entrambe le cose.
Oltre ad essere manchevole di accortezze stilistiche dettate da tecnica, predisposizione, mood che una specifica tematica ti richiama a cuore e mente e tutte quelle altre cose che fanno gli artisti.
Prendi ad esempio AIVA, uno strumento che ti fa comporre emotional soundtrack music, con la sua dashboard che consente di attingere a pezzi che non hai suonato tu cambiando loro tonalità, aggiungendo e levando strumenti e facendo un mucchio di altre diavolerie.
Anche se i tuoi studi si limitano al corso di pasticceria dell’oratorio dov’eravate presenti soltanto tu e don Franchino il 2023 ti dice che sì, puoi diventare musicista.
Altro esempio è ChatGPT di OpenAI, che ti fa prendere dimestichezza con il futurismo in maniera più sommessa con flashback di quando usavi la messaggistica di MSN, con la differenza che dall’altra parte non c’è un essere umano da poter assillare a furia di trilli. Anche in questo caso basta dare dei comandi (in forma scritta) per ottenere beh… la qualsiasi. Può cercare contenuti al posto tuo fornendoti una miriade d’informazioni come anche generare testi di canzoni, che è uno dei motivi per cui l’ho messa alla prova. È fallibile? Attualmente sì, ed in ogni senso, essendo ancora in via di sviluppo.
Io questo fallimento l’ho sperimentato chiedendo che mi venissero generati dei testi in stile Amanda Lear e poi Bobby Solo (e già…), ottenendo un ibrido grottesco tra Fabio Volo ed un decaduto Max Pezzali.
Sostanzialmente ChatGPT ha dato vita – inconsapevolmente o meno, questo non te lo so dire – alla progenie del diavolo, però quel che conta è che sia sopravvissuta tanto da poterlo raccontare.
Spostiamoci su di un piano più pratico: se ti riesce difficile credere che Futurama sia qui e sia adesso, ascolta un po’ questi cinque robot e lasciati sorprendere!
SHIMON THE ROBOT
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Shimon The Robot è stato partorito dal Robotic Musicianship Group del Georgia Tech Center for Music Technology.
Si tratta di un cyborg che suona la marimba con le capacità speciali di ascoltare e comprendere, oltre a riuscire a collaborare in tempo reale con le sue controparti umane e, per fare questo, sfrutta AI e algoritmi vari ed eventuali.
Guardarlo in azione è un’esperienza che rasenta l’ipnotismo.
Se te lo stessi domandando sì, è in grado d’improvvisare e sa farlo anche bene.
CAPTURED! BY ROBOTS
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Captured! By Robots è un progetto partito con l’idea di suonare classic rock per poi spostarsi, dopo una breve pausa, sul grindcore. Ha preso vita da Jason “JBOT” Vance, a cui si aggiungono due robot animatronici programmati da lui.
GTRBOT666 e DRMBOT0110 suonano rispettivamente chitarra e batteria, e su loro due Vans ci ha ricamato dietro la storiella secondo cui questi cyborg-padroni lo hanno schiavizzato e costretto a suonare nella band contro la sua volontà.
THE ONE LOVE MACHINE BAND
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Kolja Kugler è l’artista berlinese che si cela dietro la One Love Machine Band, partendo dall’ispirazione-passione di mutare scarti metallici in sculture alle quali – nel corso del tempo – ha aggiunto sistemi pneumatici e controlli MIDI.
Nascono così Roots Afreakin Bassplayer al basso, Rubble BT alla batteria e The Flute Flock ai flauti.
Gira voce che presto arriverà anche un tastierista.
Z-MACHINES
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Questa roba è stata definita il futuro della musica live. Nel 2013, a Yuri Suzuki è arrivato l’incarico di sviluppare il progetto Z-Machines con l’intento di progettare un sistema che fosse in grado di riprodurre musica emotivamente coinvolgente. Il gruppo è formato da tre componenti robotici: un chitarrista con 78 dita, un batterista con 22 braccia e un tastierista con… una tastiera, senza troppe cerimonie. Le potenzialità di ognuno di loro rimangono ancora parzialmente esplorate.
Le idol con cui si esibiscono sembrano particolarmente entusiaste, per ora ci accontentiamo di questo .
COMPRESSORHEAD
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Loro sono forse i più brutali: i Compressorhead sono stati creati dall’artista berlinese Frank Barnes in collaborazione con Rob Wright, Markus Kolb e Stock Plum (ex componenti dei NoMeansNo, band punk rock canadese ormai sfiorita) ad occuparsi dei risvolti musicali.
La band – anche in questo caso composta da materiali di scarto – era inizialmente formata dal batterista Stickboy e Junior (quest’ultimo con il compito di azionare l’hi-hat), dal chitarrista solista Fingers e dal bassista Bones, ai quali qualche anno più tardi si aggiungono il secondo chitarrista Hellgå Tarr ed il cantante Mega-Wattson, doppiato da John Wright.
Suonano cover dei Pantera, Ramones, AC/DC e Motörhead e danno una carica pazzesca.
Lemmy, questa è per te!