“All I’m askin’ is for a little respect”

Il 14 febbraio del ‘67, la divina Aretha Franklin –  con la sua voce potente e graffiante – strabiliava il mondo con il singolo Respect. La canzone altro non era che una cover del singolo inciso nel ’65 da Otis Redding, singolo in cui un uomo pretendeva rispetto da parte della sua donna, che lo attendeva a casa la sera, dopo che lui aveva lavorato tutto il giorno. In una società fortemente maschilista e razzista come quella degli anni ’60, il singolo cantato da un uomo passò completamente in sordina, ma quando fu reinciso dalla regina del soul – ovviamente con i generi invertiti – avvenne una vera e propria rivoluzione! Una donna, per di più afroamericana, rivendicava rispetto a gran voce, non solo da parte del suo uomo, ma anche da parte della società, diventando non solo simbolo di lotta e protesta per i diritti civili e delle donne, ma anche delle comunità afroamericane nella lotta al razzismo. Da allora, sono passati quasi  cinquantotto anni, eppure quell’iconica canzone non ha perso la sua forza, continuando ad essere tutt’oggi l’inno dell’uguaglianza e dei diritti, intonato e gridato da chiunque si senta oppresso e che richieda rispetto per sé stesso, per una comunità, per una minoranza, o anche per il pianeta ed il mondo animale. Un messaggio universale quello del rispetto che costantemente, nel tempo, viene reclamato e riproposto. Ma davvero, ancora, nel 2025, abbiamo bisogno di ricordarne l’importanza? Sembrerebbe proprio di si!

A ricordarcelo, è stato l’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani che ha eletto la parola rispetto come parola simbolo per l’anno appena trascorso, il 2024, evidenziandone non solo l’attualità, ma anche  l’estrema urgenza  e rilevanza sociale in un’epoca segnata da crescenti divisioni e violenze. «La parola rispetto»,  per la Treccani , «dovrebbe essere posta al centro di ogni progetto pedagogico, fin dalla prima infanzia, e poi diffondersi nelle relazioni tra le persone, in famiglia e nel lavoro, nel rapporto con le istituzioni civili e religiose, con la politica e con le opinioni altrui e nelle relazioni internazionali. »  Ma perché? Perché è un valore che nella società contemporanea si sta perdendo, e perché «la sua mancanza è alla base della violenza esercitata quotidianamente nei confronti delle donne, delle minoranze, delle istituzioni, della natura e del mondo animale», hanno sottolineato Valeria Della Valle e Giuseppe Patota, condirettori dell’illustre vocabolario.

La Treccani ha quindi voluto ribadire la definizione di tale termine:  «rispetto, continuazione del latino respectus», definito dal dizionario come: «sentimento e atteggiamento di stima, attenzione, riguardo verso una persona, un’istituzione, una cultura, che si può esprimere con azioni o parole».  E in tal merito – a dimostrazione della sua importanza nella nostra lingua e cultura – hanno poi spiegato : «È molto significativo che le espressioni della lingua italiana che contengono questa voce siano numerosissime: da avere rispetto per qualcuna/o, o qualcosa, a mancare di rispetto, da di tutto rispetto, a col rispetto dovuto, via via fino alla formula “con tutto il rispetto” (troppo spesso usata impropriamente nella polemica politica come premessa di attacchi verbali aggressivi, offensivi e violenti), fino all’espressione uomini di rispetto, tristemente nota per aver indicato gli affiliati alla mafia». Ribadendone  la definizione esatta  di tale parola, i co-direttori Della Valle e Patota, hanno  voluto, infatti, mettere in luce  come spesso il termine rispetto sia usato in modo scorretto ed improprio, snaturandone il reale significato. Scegliendola come parola del 2024 hanno, quindi,  voluto ribadire  la necessità di un uso semanticamente e civilmente corretto, ma soprattutto, sottolinearne al contempo, la sua funzione come valore fondamentale da condividere e recuperare nella società civile.

Non è la prima volta, però, che la Treccani affronta il tema del rispetto e di come le disuguaglianze –generate proprio dalla sua mancanza – siano, spesso,  alla base di conseguenze negative che si ripercuotono poi sull’intera società o sul nostro Pianeta. In un articolo del 14 settembre 2018, affrontando il tema del rispetto verso l’ambiente (ben documentato attraverso dati forniti  dalla società inglese Mintel), sottolineava infatti come anch’esso sia diventato una questione di genere, con un’attestata maggiore sensibilità delle donne su temi quali riciclo, sprechi energetici, e  rispetto nei confronti della natura, degli animali e del pianeta. Un vero e proprio Eco Gap Gender, quindi, che vede le donne  più preoccupate del cambiamento climatico e più interessate ad intraprendere una vita globalmente più sostenibile. Secondo l’articolo, poi, questo eco gap gender  è conseguenza ancora, e per l’ennesima volta, di quella mentalità un po’ retrograda e patriarcale che vede le donne come detentrici  della gestione della casa e dei vari aspetti della vita familiare (riciclo dei rifiuti compreso), mentre gli uomini vivrebbero in modo conflittuale il rapporto con i problemi ambientali, non visti come un problema universale, ma di genere. Come se la sensibilità verso questi temi fosse tipica del genere femminile e quindi, interessarsene, li privasse di una certa mascolinità.

Potremmo allora asserire che la disuguaglianza di genere, in qualche modo, incida fortemente sia sul mancato rispetto dell’ambiente, sia sul mancato rispetto del mondo animale, che sul pianeta stesso e sul genere umano.  Tale teoria, è sostenuta anche dalla giornalista franco – algerina Nora Bouazzoni nel suo saggio dal titolo Faminismo. Il sessismo è in tavola edito da Le Plurali Editrice. Il libro, ben documentato (rapporti FAO, ONU e studi sociologici, antropologici e filosofici), affronta infatti il tema della discriminazione sessuale legato al cibo e all’alta ristorazione. Partendo dalle domande : “Perché il lavoro agricolo è associato al maschile? Perché i grandi chef sono tutti uomini? Perché si crede che le donne abbiano bisogno di mangiare meno? Perché Le donne devono nutrire, accudire, provvedere, ma non possono essere chef, agricoltrici e produttrici?”, l’autrice, denuncia infatti, come il patriarcato abbia sistematicamente occultato e strumentalizzato il posto delle donne nella preparazione e consumazione del cibo, sia che si tratti di ristoranti di lusso, di campi coltivati, del marketing dei prodotti alimentari, fino agli allevamenti di bestiame.  Secondo la riesamina dei dati da lei raccolti, sin dalla preistoria,  l’uomo,  si è, infatti,  accaparrato la gestione delle risorse, relegando le donne al focolare, alla cura dei bambini, degli anziani e degli animali, alla coltivazione delle piante ed alla cucina. Ruoli che, seppur essenziali,  non vengono però  riconosciuti come importanti, ma che anzi vengono utilizzati per tenere le donne sottomesse ed ai margini, raramente ai ruoli di comando, ma sessualizzate come carne da macello e controllate attraverso il cibo. La sua denuncia di ciò, però,  non riguarderebbe solo  gli effetti che il patriarcato ha sul ruolo della donna nella società, ma anche sugli effetti devastanti che esso ha e ha avuto, in generale, sulla società stessa, sull’economia ed appunto, anche sull’ambiente.  La gerarchia della nostra società patriarcale che vede l’essere umano maschio dominare da secoli ideologicamente sull’essere umano femmina, sulle minoranze,  sugli animali e sulla natura, ha generato infatti, non  solo il sessismo, ma anche il colonialismo, la schiavitù, il razzismo e lo specismo . Fra le soluzioni proposte dalla giornalista, c’è quello dell’ecofemminismo che – sempre per citare la Treccani –  è «la Corrente del femminismo che si ripropone di coniugare la difesa dei valori e dei diritti delle donne e la salvaguardia dei territori, della comunità, della biosfera, della salute. Una proposta politica anti-razzista, anti-sessista e anti-elitaria orientata al cambiamento delle attuali relazioni di dominazione, verso la creazione di una società più equa e inclusiva e attenta alla cura della nostra casa comune. ».

La giornalista franco- algerina Nora Bouazzouni e la copertina del suo libro Faminismo. il sessimo è in tavola, edito da Le Pluralia Editrice.

La riflessione di Bouazzouni non vuole, dunque essere una lotta per la supremazia fra i sessi, ma anzi – sottolineando come il temine femminismo non sia un insulto e come patriarcato non voglia dire che tutti gli uomini siano dei bastardi (cito le sue esatte parole) –  vuol  semplicemente cercare di far capire come Il patriarcato non è altro che un semplice  costrutto  culturale vetusto che andrebbe spazzato via per l’uguaglianza e la cooperazione fra i sessi , ma soprattutto per il bene e nel rispetto di tutti.

Ma davvero le donne chef  e titolari di un ristorante nel mondo sono ancora poche, come denuncia la Bouazzoni, subendo un’ingiusta disparità di genere? Purtroppo, si! Fortunatamente, però, secondo Il Rapporto ristorazione curato da Fipe-Confcommercio riguardante il 2024, le attività a titolarità femminile stanno aumentando (seppur in modo lento). Inoltre, secondo quanto riporta un articolo  di Vogue Italia di marzo 2024,  l’Italia detiene il primato di donne chef e chef stellate (ben 37),  seguita da Spagna, Francia e Stati Uniti e con le chef straniere che preferiscono il nostro paese come luogo di vita e di lavoro. Nel Belpaese ci sarebbero quindi, non solo un ambiente misto, in termini di genere ed etnie, ma anche minore discriminazione e maggiore accoglienza. Fra le 37 chef stellate, possiamo poi vantare anche esempi virtuosi, che sottolineano quell’attenzione tutta femminile verso la natura e l’ambiente già sottolineata sia da Bouazzouni che da Treccani. È questo il caso di  due delle che più famose ed apprezzate al mondo: Cristina Bowerman  (pugliese d’origine, una laurea in Giurisprudenza ed una stella Michelin) alla  guida del Glass Hostaria di Roma  e Chiara Pavan (veronese, una laurea in filosofia, una stella Michelin), chef del ristorante Venissa sull’isola di Marzabotto, nella Laguna di Venezia.  A caratterizzare la cucina di entrambe sono: una cucina sana per la salute (nel caso della Bowerman anche come prevenzione sui tumori),  il rispetto del territorio e delle materie prime, l’ecosostenibilità e zero sprechi. Insomma, una cucina a km 0, ecologica  e che cerca di valorizzare  al massimo il ruolo delle donne  nella ristorazione.

Da sinistra: la chef stellata del ristorante Glass Hostaria di Roma, Cristina Bowerman e la chef stellata del ristorante Venissa di Venezia, Chiara Pavan.

In buona sostanza, da quel che si si evince da quanto detto sino ad ora, è ben comprensibile perché la Treccani abbia scelto Rispetto, come parola per l’anno 2024, auspicando che questo 2025 appena iniziato prosegua sotto l’egida di essa. Come abbiamo visto il rispetto è un concetto fondante nelle relazioni interpersonali e sociali. Promuovendo un atteggiamento di cura e considerazione verso l’altro, verso le altre specie animali, verso la natura ed il pianeta, riconoscendone il valore, i diritti, le diversità, ma soprattutto la dignità, si generano uguaglianza, giustizia ed empatia che, non solo riducono il rischio dei tanto temuti conflitti, ma ci potranno preservare dall’estinzione!

Il rispetto, insomma è un circolo virtuoso che andrebbe praticato sempre e che anche noi reclamiamo a gran voce sulle note di Respect di Aretha Franklin ed intonandone il verso più famoso : “All I’m askin’ is for a little respect!”

Con tutto il Rispetto possibile, buon 2025 a tutti!

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