Cli-fi: #5storie per iniziare

Nel 2007 il blogger e attivista per il clima Dan Bloom coniò un termine destinato a godere – soprattutto in tempi recenti – di fama globale: cli-fi. Ai suoi esordi il termine era stato connotato da Bloom come un sottogenere del più famoso (e generico) sci-fi.

L’attivista Dan Bloom

La fama del nuovo conio tra i critici letterari e tra gli autori stessi oscilla tutt’oggi vertiginosamente tra un polo positivo e uno negativo; non si può certamente negare che negli ultimi decenni una nuova produzione di presunta climate fiction – o cli-fi – abbia riempito gli scaffali delle librerie. 

Le riflessioni si sono focalizzate principalmente sul diverso contesto affrontato da sci-fi e cli-fi, e sulle implicazioni relative alle varie problematiche innescate o meno dall’emergenza climatica. 

Negli ultimi anni, la climate crisis si è imposta prepotentemente – e a ragione – come tematica dominante nella narrativa mondiale, supportando di fatto le speculazioni sull’adozione della parola coniata da Bloom nella definizione di un nuovo genere. La stampa mondiale non si è lasciata sfuggire l’occasione di sfoggiare il neologismo, e c’è persino chi come il «The New York Times» ha dato vita ad un acuto dibattito sul tema dal titolo Will fiction influence how we react to climate change? 

Ne consegue che dopo quella timida partenza il termine cli-fi è, ad oggi, diventato una buzzword, capace pure di prendere un posto di tutto rispetto nelle istituzioni scolastiche – perlomeno in quelle americane. 

Come dicevo poco prima, la produzione di letteratura cli-fi ha raggiunto numeri davvero esorbitanti in poco più di un decennio; pertanto mi concentrerò su alcuni romanzi che ho considerato portabandiera del genere. 

Ernest Callembach – Ecotopia (1975)

Quando Callenbach scrisse Ecotopia nell’ormai lontano 1975, lavorara per l’University of Chicago Press, in qualità di editor di testi scientifici. E va da sé che le sue deformazioni professionali e il suo avanguardistico – almeno per i tempi – pensiero ecologico siano entrati di diritto nella scrittura.

Ecotopia è ambientato nel 1999 – un anno ormai parecchio distante – dopo la secessione (19 anni prima) degli Stati della West Coast (di risapute tendenze verdi, soprattutto negli anni ‘70) dal resto degli Stati Uniti. La vicenda si svolge, per l’appunto, ad Ecotopia, la nazione fondata a seguito della secessione, ed è raccontata dal giornalista Will Weston, inviato speciale per il «Time Post» nelle terre un tempo americane. 

Il mio compito per le prossime sei settimane consisterà dunque nell’esplorare da cima a fondo la vita ecotopiana – scoprendo la realtà che sta dietro i “si dice”, descrivendo in modo particolareggiato e concreto il funzionamento della società, documentandone i problemi e, se si darà il caso, riconoscendone le realizzazioni. Attraverso la conoscenza diretta della situzione in cui ora si trovano i nostri concittadini di un tempo, potremo anche cominciare a ricostruire quei vincoli, da loro così avventatamente respinti, che in passato li legavano all’Unione.


p.12

Mi pare azzeccata la mossa di Callenbach di fare ricorso al topos del viaggiatore straniero che, con gli occhi di chi vede per la prima volta, rappresenta una realtà distante. L’unico pericolo in agguato, però, è quello di rendere la narrazione piuttosto statica e di lasciare che il numero delle descrizioni superi di gran lunga quello delle esperienze del protagonista.

Weston mette subito in evidenza la cura e l’attenzione degli ecotopiani per la natura. A Ecotopia la salvaguardia dell’ambiente si muove di pari passo con lo sviluppo tecnologico, senza minimamente impattare sull’ambiente: 

L’amore per la natura degli ecotopiani è tale da indurli a mettere delle piante nei treni, che sono pieni di rampicanti e arbusti per me di difficile identificazione (mentre i miei compagni snocciolano con sicurezza i termini botanici). In fondo al vagone ci sono dei container abbastanza simili a bidoni per i rifiuti, ciascuno con una grande lettera; M, V e C. Mi dicono che sono “bidoni per il riciclaggio”. Un americano penserebbe che non è vero, ma durante il viaggio constato che i passeggeri, senza eccezioni, mettono ogni rifiuto – di metallo, di vetro oppure di carta o plastica – nel contenitore giusto […]. Alla constatazione di viaggiare su un treno ecotopiano non si accompagna la percezione di alcun movimento. Poiché i treni vanno a propulsione e su cuscini magnetici, non si avverte nessun rumore di ruote né si sentono scricchiolii o vibrazioni. 

p.15

Storicamente, questo è un libro molto importante. È stato un bestseller a suo tempo, ed ha contribuito in qualità di capofila a lanciare la moderna narrativa ecologica come genere. 

Margaret Atwood – Oryx e Crake (2003)

Nonostante Margaret Atwood abbia negli anni rifiutato più volte l’etichetta di scrittrice sci-fi, la sua provocazione può certamente essere un ottimo punto di partenza per stabilire più correttamente i connotati del genere. 

Il romanzo che ho selezionato inaugura la famosa trilogia MaddAdam della Atwood, che si inserisce a gamba tesa nel filone di speculative fiction – stavolta una locuzione approvata dalla scrittrice stessa. A Oryx e Crake seguiranno L’anno del diluvio (2009) e L’altro inizio (2013).

Il romanzo è ambientato in un futuro – non eccessivamente lontano – in cui l’ingegneria genetica governa il mondo. La storia è raccontata da Snowman, apparentemente l’ultimo homo sapiens sapiens rimasto sulla Terra.

Snowman, però, non è da solo; è circondato da una nuova razza di umani: i figli di Crake – i Cracker . Questa nuova razza di mutanti ha la caratteristica di avere un temperamento docile, di essere fisicamente impeccabile, e di non essere in grado di provare invidia e gelosia; i Cracker non capiscono la violenza e non hanno pulsioni sessuali, così come sono incapaci di essere creativi o di comprendere la tecnologia. Attraverso i ricordi di Snowman, impariamo gradualmente la sequenza di eventi che hanno portato al declino e alla caduta dell’umanità.

Ancora una volta, la Atwood intercetta una tendenza – questa volta è l’ingegneria bio/genetica – e la estremizza attraverso la creazione di un mondo orribile, regolato da disparità sociale, violenza, ibridi genetici, virus artificiali infuriati. Questo romanzo è molto più di un romanzo di fantascienza – anche se, di fatto, è spesso stato così etichettato. La scrittrice canadese ha messo insieme un libro profondamente filosofico che solleva numerose questioni: un uomo ha il diritto di progettare un essere umano perfetto e di decidere chi vive e chi muore?

Domande parecchio attuali e che, come l’autrice stessa ama dire, riguardano, senza dubbio, un futuro plausibile.

La Atwood è rinomata per il suo attivismo e non ha mancato negli anni di esprimere la sua opinione e la sua preoccupazione in merito alle questioni climatiche. Come una Cassandra non ascoltata dalla comunità internazionale ha lanciato più volte il suo grido allarmato. Le daremo finalmente ascolto? 

Cormac McCarthy – La strada (2006)

I due protagonisti de La strada sono un padre e il suo giovane figlio che lottano per la sopravvivenza in un mondo post-apocalittico. McCarthy è un mago del dialogo, riesce con estrema naturalezza a mettere nero su bianco il modo in cui comunichiamo – il modo alquanto realistico, e ricco di sfumature, in cui comunichiamo.

Il bambino prese la lattina. Fa le bollicine, disse.
Forza.
Guardò il padre, poi inclinò la lattina e bevve. Rimase lì a pensarci per un attimo. É proprio buona, disse.
Si. Infatti.
Bevine un po’ anche tu, papà.
Voglio che la bevi tu.
Solo un po’.
L’uomo prese la lattina, bevve un sorso e gliela restituì. Bevila tu, disse. Stiamocene seduti qui per un po’.
É perché non ne potrò bere mai più, vero?
Mai è un sacco di tempo.
Ok, disse il bambino.

p. 37

La strada è un libro davvero disturbante; è mistificante e completamente straziante. Ci mostra semplicemente come l’uomo potrebbe agire in determinate circostanze, ed è terrificante perché McCarthy lo rende talmente realistico, che si ha la costante sensazione che potrebbe da un momento all’altro trasformarsi in realtà.

Il mondo è andato in malora, quale che sia la ragione, che si tratti di una guerra nucleare o di un collasso ambientale; è una terra desolata di perpetuo grigiore e cenere; l’aria è tossica; i sopravvissuti si ammalano a causa dell’ambiente circostante. La civiltà è completamente crollata, ma le sue ossa rimangono, le strade rimangono.

Il padre e il ragazzo, che percorrono queste strade, comunicano raramente, con frasi minimal, e specialmente all’inizio del libro, quando non è ancora chiaro il senso della storia o del tempo.

La sensazione che se ne ha è che non ci sia granché di cui parlare quando vivi in ​​un mondo in cui sei costantemente minacciato da bande di cannibali vaganti, dove rimanere in vita è tutto ciò che conta: pertanto perché mai sprecare inutilmente energia parlando?

Ian McEwan – Solar (2010)

Solar è un romanzo dal taglio sardonico, il cui protagonista è un antipatico fisico inglese di nome Michael Beard. È un uomo di scienza unidimensionale, egoista e pieno di sé, a tratti ripugnante. Beard, che pare abbia vinto un premio Nobel per la fisica da giovane per un progetto chiamato Beard-Einstein Conflation, è un uomo basso, grasso, calvo, sposatosi varie volte, cupido e senza disciplina. Consuma rapacemente cibo, donne e bevande, con scarso riguardo per le conseguenze. È l’emblema vivente del sovraconsumo umano: Beard divora tutto ciò che lo circonda, così come noi – genere umano degenerato – stiamo divorando le risorse limitate e gli ecosistemi fragili del nostro pianeta terra.

La svolta comica del romanzo – arte ineguagliabile di McEwan – è rendere Beard, l’avido superconsumatore, un esperto accidentale di cambiamenti climatici antropogenici. Grazie alla sua esperienza come fisico, coadiuvata dal suo egoistico opportunismo nel rubare le idee di un post-doc che lavora con lui nel Berkshire, Beard si ritrova impegnato in un programma per creare energia rinnovabile a basso costo attraverso un processo di fotosintesi artificiale.

 

Aldous ricordò a Beard – era la quindicesima persona a farlo nell’arco di dodici mesi – che dieci su dieci, o forse nove su dieci anni dell’ultimo decennio del ventesimo secolo erano stati i più caldi mai registrati. Prese poi a riflettere sulla stabilità climatica, sull’aumento delle temperature dovuto a un’emissione di CO2 doppia rispetto ai livelli dell’era preindustriale. All’ingresso in Londra, si era passati dall’irraggiamento forzato, seguito dalla solita litania sulla riduzione dei ghiacciai, il processo di desertificazione, il depauperamento delle barriere coralline, l’alterazione delle correnti oceaniche, l’innalzamento del livello dei mari, la scomparsa di questo e di quello, eccetera eccetera, mentre Beard sprofondava nello sconforto della disattenzione, non perché il pianeta fosse in pericolo – di nuovo quell’espressione demenziale – ma perché qualcuno glielo stava raccontando con tanto entusiasmo. Ecco che cosa non sopportava delle persone politicamente impegnate: che ingiustizie e catastrofi fossero il loro latte materno, la loro linfa vitale, la sorgente del loro piacere.

p. 44-5

Di fatto, McEwan rappresenta in modo satirico i pensieri di Beard, ponendoli in contrasto col sentimento positivo della ricerca di una soluzione al cambiamento climatico, sottolineando il suo fastidioso fastidio. 

Beard detesta l’impegno trasmesso dal racconto del cambiamento climatico, tramite le litanie delle ingiustizie – e McEwan, abile nelle tecniche narrative come pochi, costruisce il racconto in modo tale che il lettore simpatizzi con l’egoista Beard, l’antipatico antieroe, che stona nel contesto corretto e ordinato che lo circonda. La narrativa di McEwan, che ruota attorno al suo concern per la casualità con cui gli esseri umani si applicano in questo mondo post-religioso e darwiniano, attenziona la retorica  del discorso ecologico dominante, di cui critica la componente marcatamente enfatica. Avrà raggiunto il suo scopo? Leggere per credere. 

Emmi Itäranta – La memoria dell’acqua (2012)

La memoria dell’acqua (titolo originale – e impronunciabile – il finlandese Teemestarin kirja) è il romanzo d’esordio della giovane scrittrice Emmi Itäranta.

Protagonista indiscussa del romanzo è l’acqua, bene primario per l’umanità. Il pianeta Terra – in maniera particolare la Finlandia, luogo dove si svolgono i fatti -, stravolto dai cambiamenti climatici, si trova a fare i conti con temperature sempre più soffocanti, che hanno provocato lo scioglimento della calotta artica e l’innalzamento del livello dei mari.

L’acqua potabile è quasi impossibile da trovare: coloro che vi hanno accesso, sono di fatto gli uomini di potere. Il governo raziona l’acqua di mare purificata, assicurandosi che le persone ne abbiano a sufficienza per sopravvivere, non una goccia di più.

Itäranta racconta la storia della figlia di un maestro del tè, Noria, incaricata di succedergli e di mantenere un segreto che le cambierà la vita: esiste una sorgente d’acqua dolce nascosta, custodita da generazioni di maestri del tè. Seguendo le orme del padre, la giovane viene da questi messa a conoscenza di quali compiti importanti abbia davvero chi ricopre quel ruolo.

«Questa è la parte del lavoro del maestro del tè che resta invisibile agli altri», disse mio padre. «Dal tempo dei tempi i maestri del tè sono stati guardiani dell’acqua. Si dice che in passato ciascun maestro avesse nelle sue terre una sorgente d’acqua di cui si prendeva cura. Le sorgenti erano di diversa qualità: una produceva acqua con poteri curativi, l’acqua di un’altra allungava la vita, la terza trasmetteva serenità. C’erano anche differenze di sapore. C’era gente che affrontava lunghi viaggi per gustare del tè preparato con l’acqua di una sorgente rinomata. Era dovere del maestro assicurarsi che la sorgente restasse limpida e non fosse sfruttata eccessivamente.»

p.156

I protagonisti de La memoria dell’acqua sono costretti non solo a vivere con le conseguenze disastrose del cambiamento climatico, ma anche ad attraversare la grave e stressante situazione sociale di un mondo con acqua limitata sotto la costante supervisione di un potere militare. L’Unione Scandinava è infatti sottoposta al regime del Nuovo Qian, che tramite l’uso smodato della forza domina senza lasciare traccia di libertà ai cittadini. 

Tuttavia, l’atmosfera e l’ambientazione scandinava uniche rendono questa storia esotica, mentre la trama scorre lentamente come un flusso d’acqua dolce. 

La memoria dell’acqua è un’opera di speculative fiction estremamente originale, straordinariamente irritante, ambientata in un mondo distopico, che innesca una serie di acute riflesioni sul nostro probable future


Fonti consultate

Atwood, Margaret. Oryx and crake. Vol. 1. Vintage Canada, 2010.

Callembach, Ernest. Ecotopia. Castelvecchi, 2012.

Itäranta, Emmi. La memoria dell’acqua. Frassinelli, 2015.​​

Johns-Putra, Adeline. “Climate change in literature and literary studies: From cli-fi, climate change theater and ecopoetry to ecocriticism and climate change criticism.” WIREs Clim Change, 7 (2016): 266-282.

McCarthy, Cormac. La strada. Einaudi, 2007.

McEwan, Ian. Solar. Einaudi, 2012.

Tuhus-Dubrow, Rebecca. “Cli-Fi: Birth of a Genre.” Dissent 60, no. 3 (2013): 58-61. 

Whiteley, Andrea, Angie Chiang, and Edna Einsiedel. “Climate Change Imaginaries? Examining Expectation Narratives in Cli-Fi Novels.” Bulletin of Science, Technology & Society 36, no. 1 (February 2016): 28–37.

Un commento

  1. Finzione o premonizione?

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