*titolo tratto da un verso della poesia Versicoli quasi ecologici di Giorgio Caproni
L’universo della poesia è spesso percepito come ostico, distante dalla sensibilità comune. Di conseguenza, la scrittura poetica viene di sovente considerata noiosa.
Tuttavia il modo di fare poesia oggi è totalmente cambiato: gli strumenti poetici e le loro potenzialità espressive sono mutate col mutare delle tematiche affrontate e dei mezzi di comunicazione.
Non bisogna aspettare le soglie del 2000 o l’era Instagram per trovare delle sonorità fuori dal coro: basterebbe concentrarsi tra gli anni ‘70 e ‘80, in Italia per esempio, per scoprire l’era reale della sperimentazione poetica. Due nomi su tutti: Andrea Zanzotto e Edoardo Sanguineti.
La sperimentazione non coinvolge soltanto il lessico, la forma, la struttura, ma riguarda anche e soprattutto le tematiche affrontate.
Temi scottanti degli ultimi decenni sono quelli dell’ecosostenibilità e della tutela delle risorse. L’educazione alla responsabilizzazione e l’acquisizione di comportamenti in linea con la sensibilità ecologica costituiscono pertanto un terreno fertile sulla via di una nuova e più efficace interpretazione del mondo e dell’ambiente circostante, con cui la letteratura – come tutte le discipline – deve misurarsi.
L’ambiente, inteso come universo ontologico su cui riflettere e su cui plasmare una gamma di valori, costituisce il mondo narrativo tramite cui si configura il rapporto tra uomo e natura, codificandosi nelle modalità del testo letterario – sia esso poetico o prosastico.
Ecopoetry, ecopoetics, ecopoet sono termini di recente fama, eppure circolano nell’etere già dalla fine degli anni ‘90.
Proviamo a capirci qualcosa.
Ecopoetry: un profilo in continua evoluzione
Dal punto di vista lessicale è chiaro che il termine ecopoetry richiami quello di ecologia – sostantivo coniato nell’Ottocento come branca della biologia che studia le relazioni tra gli organismi viventi e l’ambiente (De Mauro). Per quanto riguarda l’aspetto etimologico, la parola è riconducibile al sostantivo greco oikos (da cui il nome di questa rubrica) – casa, ambiente, dimora. Ambiente, quindi, nel senso di casa.
Stringendoci attorno al concetto di ecopoetry, secondo la definizione di John Shoptaw
an ecopoem needs to be environmental and it needs to be environmentalist. By environmental, I mean first that an ecopoem needs to be about the nonhuman natural world […] an ecopoem is a kind of nature poem. But an ecopoem needs more than the vocabulary of nature.
trad. una ecopoesia deve essere ambientale e deve essere ambientalista. Con ambientale, intendo principalmente che un’ecopoesia deve riguardare il mondo naturale non umano […] un’ecopoesia è una sorta di poesia sulla natura. Ma un’ecopoesia necessita più del lessico della natura.
Si può dedurre pertanto che un’ecopoesia è un testo letterario non interessato alla natura di per sé, ma che indaga la relazione tra di essa e le culture, i linguaggi e la percezione dell’ambiente circostante.
Un’altra caratteristica che un’ecopoesia deve possedere è l’essere ecocentrica e non antropocentrica. (Shoptaw, 2016)
Ampliando questa idea, potremmo arrivare a sostenere che un’ecopoesia è un dispositivo letterario che riguarda la crisi climatica che stiamo attraversando. (Walton, 2018)
Come dicevo sopra, il concetto di ecopoetry, insieme al carnet di termini correlati, vede la luce alla fine degli anni Novanta. Da quel momento gli studiosi di settore ne hanno coltivato il significato, arricchendolo di sfumature, ed hanno inoltre operato una classificazione generale in due categorie: ciò che nasce con la consapevolezza del genere-ecopoesia e ciò che si inserisce nella categoria inconsapevolmente.
Questa nuova schiera di poeti consapevoli si inserisce di fatto in una forma di scrittura impegnata e di denuncia, che ha come fine ultimo quello di sollecitare la consapevolezza sul tema e incentivare l’azione ecologica. Pertanto, una delle caratteristiche principali dell’ecopoesia è l’essere in connessione col mondo circostante in un modo che implica di fatto responsabilità.
La tendenza è quella di omaggiare, sì, la natura, ma di sottolinearne, al contempo, quegli aspetti che ci indicano le varie modalità di conservazione: per intenderci, l’ecopoet non è il cantore della natura e del suo universo bucolico, bensì colui che esaltandone la bellezza, evidenzia le problematiche che la turbano.
Gli ecopoets tentano quindi di dare voce – tramite la forma e la struttura poetica – all’interconnessione dell’uomo con la natura, spesso identificandosi con le entità che la abitano per marcare tale connessione e dare vita ad una immedesimazione totale e totalizzante.
Ma chi sono gli ecopoeti?
Gli Ecopoeti tra di noi
Chiaramente autori italiani come Andrea Zanzotto, Giorgio Caproni (autore dei versi che fanno da titolo a questo scritto), Paolo Volponi, Pier Paolo Pasolini e anche Italo Calvino avevano già affrontato in maniera originale la tematica ambientale, nel contesto socio-politico del secondo dopoguerra. Le loro sensibilità – testimoni del passaggio dalla società rurale a quella industriale -, hanno interiorizzato i cambiamenti storici, traducendosi in una denuncia di quelle dinamiche sociali riconducibili ad una alterazione dell’ecosistema naturale, storico, culturale.
Non uccidete il mare,
la libellula, il vento.
Non soffocate il lamento
(il canto!) del lamantino.
Il galagone, il pino:
anche di questo è fatto
l’uomo. E chi per profitto vile
fulmina un pesce, un fiume,
non fatelo cavaliere
del lavoro. L’amore
finisce dove finisce l’erba
e l’acqua muore. Dove
sparendo la foresta
e l’aria verde, chi resta
sospira nel sempre più vasto
paese guasto: “Come
potrebbe tornare a essere bella,
scomparso l’uomo, la terra”.
tratta da Versicoli quasi ecologici, Res Amissa – Giorgio Caproni (1991)
La lirica denuncia apertamente le azioni dell’uomo, colpevole di guastare il paesaggio naturale per profitto vile. E chi resta e osserva sospira nel sempre più vasto/ paese guasto, augurandosi un primordiale ritorno della terra a essere bella,/ scomparso l’uomo.
Il settore dell’ecocriticism tuttavia si sviluppa in ambito americano negli anni ‘70; l’ecopoetry, invece, come ambito di riflessione pratica e teorica, si muove soprattutto in territorio britannico a partire dalla fine degli anni ‘90. Ne consegue, pertanto, che alcune delle voci contemporanee più attive – e conosciute – siano anglofone. Un esponente di spicco in questa cerchia di poeti è il poeta di origini italiane Mario Petrucci – laureato in Scienze Naturali prima e in Environmental Studies poi.
Il suo contributo è stato rilevante soprattutto nell’ambito della scrittura creativa, tramite la quale ha promosso un dialogo attivo tra scienza e poesia: ridefinendo dunque le strategie di creative writing, ha ripensato ed integrato ad esse le tematiche e il lessico della scienza. Petrucci incarna pertanto il ruolo di promulgatore dell’inserimento delle tematiche scientifiche ed ecologiche nell’universo poetico.
You bury me in concrete. Bury me
in lead. Rather I was buried
with a bullet in the head.
You seal me in powder. Cut the hair
last. Then take the trimmings
and seal them in glass.
You wrap me in plastic. Wash me
in foam. Weld the box airless
and ram the box home.
For each tomb that’s hidden a green
soldier turns. None decomposes.
Nothing for worms.
A buckle. A pencil. Break one thing
I left. Give some small part of me
ordinary death.
tratta da Last wish (Chernobyl, 1986), Heavy Water: a poem for Chernobyl – Mario Petrucci (2004)
Il panorama poetico italiano, tuttavia, non è rimasto inerte e dal 2005 il Manifesto di Ecopoesia italiana è stato presentato in varie sedi di congressi relativi all’ecopoetry.
Il testo inizia con una definizione/dichiarazione su cosa sia l’ecopoesia
Ecopoesia è un nuovo genere letterario che trae ispirazione dall’attuale emergenza ambientale. Inoltre, l’Ecopoesia si prefigge di “dar voce” ai viventi che non hanno voce e di testimoniare i loro diritti.
L’Ecopoesia è una parte del vasto universo della Poesia e non si pone in posizione di supremazia rispetto alle altre tradizionali espressioni poetiche. E’ semplicemente diversa, e non alternativa.
Fin dalle prime parole è chiaro come alla definizione di Shoptaw e Walton aggiungano un riferimento al diritto di chi non ha voce.
A questa ridefinizione del ruolo della poesia seguono dichiarazioni d’intenti e valori, con tanto di criteri-base sulle forme e le strutture, e di profilo-tipo dell’ecopoeta. I firmatari del manifesto sono M. Ivana Trevisani Bach Albisola, Salvatore Infantino Palazzolo, Luciano Somma, M. Luisa Gravina e Luciana Bertorelli, tutti provenienti da diverse zone d’Italia.
L’argomento finora trattato richiederebbe molto più spazio di quello qui utilizzato: gli intenti di questo breve scritto sono stati quelli di iniziare un percorso di indagine su queste nuove – non poi tanto – frontiere poetiche.
Vi lascio pertanto con la promessa di un ulteriore approfondimento e con una riflessione di Laura Pugno, tratta da In territorio selvaggio:
La poesia è portatile, esposta alle intemperie, può essere imparata a memoria, può essere incisa su un sasso, nascosta in un bosco. È accaduto. Ha bisogno di mezzi minimi, neanche della scrittura a rigore, è capace di sopravvivere ovunque, come gli scorpioni, con la stessa implacabile natura che alla fine riemergerà.
tratto da In territorio selvaggio, pp.36-7
Fonti consultate
AA.VV. (2005) “Manifesto di Ecopoesia Italiana”. Agoravox.
Caproni, Giorgio. 1991. “Res Amissa”. Giorgio Agamben.
Petrucci, Mario. 2004 “Heavy Water: a poem for Chernobyl”. Enitharmon Press.
Pugno, Laura. 2018. “In territorio selvaggio”. Nottetempo.
Shoptaw, John. “Why Ecopoetry?” Poetry 207, no. 4 (2016): 395–408.
Walton, Samantha. “Ecopoetry” Companion to environmental studies (2018): 393-398.