Contenere moltitudini

*immagine di copertina – Philip Guston, Bombardamento (1937)


In questi ultimi anni (se volessimo tracciare una linea temporale, immaginiamola più o meno dalla pandemia di Covid-19 in avanti), abbiamo avuto molto su cui meditare, senza avere di fatto il tempo di farlo accuratamente tra un avvenimento epocale e il successivo. E così infiniti circoli viziosi di opinioni su opinioni (e di opinioni che hanno delle opinioni che hanno delle opinioni che han..) hanno intasato i nostri piccoli, medi e grandi schermi. File e file di esperti e pseudotali hanno proliferato, ingigantendo all’infinito il già vasto e confuso assortimento di informazioni a cui siamo sottoposti (vedi infodemia), e scatenando il più primordiale dei sentimenti umani: la paura – substrato ideale alla proliferazione delle culture batteriche complottiste.

Possiamo tuttavia rintracciare un filo conduttore nel dibattito sui grandi temi, ed è la tendenza umana al binarismo. Destra o sinistra? Schlein o Meloni? Vax o no-vax? Israele o Hamas? Russia o Ucraina? E via dicendo su questa strada. Meglio note come opposizioni binarie, queste coppie dicotomiche illustrano come ognuno di noi sia spesso incline a vedere il mondo in termini di opposti: bene e male, luce e oscurità, amico e nemico. Una tendenza, questa, a semplificare la realtà in categorie nette, che può essere utile in certi contesti, ma che può in altri portare a una visione distorta del mondo. Nonostante qualcuno possa favorire l’utilità della semplificazione della realtà circostante, tali categorie binarie hanno lo svantaggio di non catturare la complessità del reale. Ad esempio, la divisione tra buono e cattivo può condurci a una visione manichea del mondo, che ignori sfumature e contesti, suggerendo pertanto una suddivisione netta del creato in due categorie opposte e mutualmente esclusive. Per rendere più chiaro questo concetto, mi servo di un esempio molto accurato fornitoci (nei suoi libri e nei suoi talk) dalla sociolinguista Vera Gheno. Gli esponenti del movimento americano (e mondiale) contro l’aborto, si definiscono pro life, suggeriscono forse che chiunque sia a favore dell’interruzione volontaria di gravidanza sia pro death? L’argomento è di gran lunga più complesso di questa opposizione di fazioni. Richiede ragionamento, analisi delle sfumature, approfondimento, dinamiche non riducibili ad una mera semplificazione.

Il rischio reale – a cui assistiamo quotidianamente tramite i social network, e i media in generale – è quello di causare polarizzazione, che inevitabilmente conduce allo scontro e a violenza verbale disumanizzante, portatrice sana di shitstorm. Su come gestire la presenza in rete e la comunicazione sui social, vorrei consigliare la lettura di un ottimo libro dell’ottima sociolinguista (già nominata sopra) Vera Gheno, L’antidoto. 15 comportamenti che avvelenano la vita in rete e come evitarli, recentissima uscita per l’editore Longanesi. L’autrice esamina attentamente i 15 principali comportamenti che adottiamo quotidianamente sui social media, svelando una scala di disfunzioni nelle nostre relazioni e comunicazioni online che disturbano di fatto la nostra esistenza. Offre, pertanto, in risposta a ciascun veleno, una soluzione pratica che può guidarci nella costruzione di un ambiente online più sano e costruttivo.

Si può rintracciare, dunque, un collegamento tra le polarizzazioni concettuali e l’hate speech – inteso come diffusione di discorsi o messaggi che incitano all’odio, alla discriminazione o alla violenza contro gruppi o individui basati su caratteristiche come razza, etnia, religione, genere, orientamento sessuale, disabilità? La risposta è affermativa. La polarizzazione concettuale e l’hate speech sono due fenomeni che vanno di pari passo, poiché il primo fornisce un terreno di proliferazione fertile al secondo – la retorica aggressiva, l’uso di stereotipi e le dichiarazioni discriminatorie spesso accompagnano una visione fortemente polarizzata.

Non è un caso che una delle opposizioni binarie più diffuse (e, al momento, tra quelle più dibattute) – quella di genere, l’opposizione uomo/donna, maschio/femmina – scateni alcune delle più efferate manifestazioni di hate speech. Tale opposizione, che ha radici profonde nella società e nella cultura umana, non nasconde altro che la complessità delle esperienze umane. Molte persone non si identificano rigidamente come uomo o donna e possono sperimentare una vasta gamma di identità di genere. Per orientarsi meglio sull’argomento consiglio una visita qui.

Pensare per stereotipi può condurre a generalizzazioni dannose e condurre ad una visione esclusiva del mondo, in cui i membri di un gruppo sono considerati superiori o legittimi, mentre gli altri sono considerati inferiori; può sfociare, inoltre, nell’odio e nella deumanizzazione degli individui o dei gruppi che non rientrano nella categoria dominante. Pensare per stereotipi contribuisce a mantenere le disuguaglianze sociali e può giustificare la discriminazione istituzionale nei confronti dei gruppi marginalizzati. L’argomento è complesso (e ci piace che lo sia), e avremo modo di approfondirne le sfaccettature in questa sede. Per superare questi limiti, è importante iniziare a promuovere una visione più sfumata e inclusiva del mondo, che può avvenire soltanto attraverso l’uso di un linguaggio che rifletta la complessità, la sensibilizzazione alla diversità, l’educazione e la promozione del pensiero critico. Ed è anche fondamentale osservare con maggiore attenzione ciò che ci circonda.

Vi lascio con i bellissimi versi di Disattenzione della poetessa polacca Wislawa Szymborska:

Ieri mi sono comportata male nel cosmo.
Ho passato tutto il giorno senza fare domande,
senza stupirmi di niente.
Ho svolto attività quotidiane,
come se ciò fosse tutto il dovuto.

Inspirazione, espirazione, un passo dopo l’altro,
incombenze,
ma senza un pensiero che andasse più in là
dell’uscire di casa e del tornarmene a casa.
Il mondo avrebbe potuto essere preso per un mondo folle,
e io l’ho preso solo per uso ordinario.

Nessun come e perché –
e da dove è saltato fuori uno così –
e a che gli servono tanti dettagli in movimento.
Ero come un chiodo piantato troppo in superficie nel muro
oppure
(e qui un paragone che mi è mancato).
Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti
perfino nell’ambito ristretto d’un batter d’occhio.

Su un tavolo più giovane, da una mano d’un giorno
più giovane,
il pane di ieri era tagliato diversamente.
Le nuvole erano come non mai e la pioggia era
come non mai,
poiché dopotutto cadeva con gocce diverse.

La Terra girava intorno al proprio asse,
ma già in uno spazio lasciato per sempre.
È durato 24 ore buone.
1440 minuti di occasioni.
86.400 secondi in visione.

Il savoir-vivre cosmico,
benché taccia sul nostro conto,
tuttavia esige qualcosa da noi:
un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal
e una partecipazione stupita a questo gioco
con regole ignote.

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