Negli anni ’80, Michail Gorbachev divenne il volto del cambiamento nell’Unione Sovietica. Come leader del Partito Comunista, Gorbachev si impegnò a portare riforme democratiche e a modernizzare l’economia sovietica, in un tentativo di rilanciare il paese.
Le sue politiche di glasnost (trasparenza) e perestrojka (ricostruzione) furono innovative e rivoluzionarie, e portarono a una maggiore libertà di parola e di pensiero, nonché alla creazione di partiti politici alternativi.
Gorbachev ha anche giocato un ruolo fondamentale nel porre fine alla Guerra Fredda e nel promuovere la pace internazionale, grazie alle sue politiche di disarmo nucleare e di dialogo con gli Stati Uniti.
Anche se il suo operato ha suscitato controversie, in particolare tra i conservatori sovietici e tra le nazioni satellite dell’URSS, il suo contributo alla diffusione della democrazia in Unione Sovietica e nell’Europa dell’Est è stato indiscutibilmente significativo.
Brevi cenni biografici
Gorbachev nacque a Privol’noe, piccolo comune nei pressi di Stavropol, il 2 marzo 1931. Dopo essersi laureato in giurisprudenza a Mosca nel 1955, decise di intraprendere un secondo percorso di studi in economia agraria a Stavropol. Fu in quegli anni che si avvicinò e si iscrisse al Partito comunista sovietico e conobbe anche la donna che sarebbe poi divenuta sua moglie, alla quale sarebbe rimasto legato fino alla morte di lei nel 1999.
La sua carriera politica ebbe inizio nel 1970, quando per la prima volta venne eletto primo segretario del Comitato di partito per il territorio di Stavropol. La sua ascesa fu relativamente rapida: già nel 1979 venne eletto membro titolare del Politburo del Comitato centrale del PCUS.
Durante quegli anni Gorbachev ebbe l’opportunità di viaggiare molto in rappresentanza del partito; i contatti con l’estero diedero senza dubbio un forte impulso all’evoluzione del suo pensiero politico, fino a dare vita all’embrione di quelli che sarebbero stati i pilastri della sua politica a livello interno.
Alla morte del Segretario del PCUS Konstantin Cernenko, nel marzo 1985, ne divenne il successore all’età di “soli” 54 anni: fu infatti il più giovane a ricoprire tale ruolo dopo la morte di Stalin.
Gli anni della segreteria
La sua ascesa a segretario era stata in realtà già da tempo preventivata, ma, proprio a causa della sua “giovane” età, non era stato facile fare accettare tale cambiamento alla burocrazia sovietica. Per questo motivo, pertanto, prima di lui passarono gli ultimi nomi papabili della generazione di Breznev, Andropov e Cernenko.
L’Unione Sovietica che Gorbachev ereditò era un paese in piena crisi economica, in grande difficoltà a causa del crescente malcontento dei Paesi inclusi nella sfera di influenza sovietica.
Per invertire la rotta, Gorbachev intuì che era necessario dare una profonda trasformazione interna, le cui parole chiave furono glasnost e perestroika. Per rendere questo possibile, però, sarebbe stato necessario ridefinire i rapporti con l’altra grande superpotenza: gli Stati Uniti d’America. Gorbachev riprese pertanto i negoziati in tema di limitazione degli armamenti strategici con gli statunitensi, che sfociarono nel summit di Ginevra del novembre 1985 e in quello di Reykjavik dell’ottobre 1986. Fu tuttavia il vertice di Washington del dicembre 1987 a portare dei concreti risultati: si ipotizzò per la prima volta la distruzione dei cosiddetti missili di teatro, ovvero quei missili di portata ricompresa tra i 500 e i 5000 chilometri.
Il più importante obiettivo raggiunto fu però sicuramente la firma degli accordi START I (Strategic Arms Reduction Talks) in cui venne sancita una vera e propria riduzione del numero di armi strategiche di cui Unione Sovietica e Stati Uniti erano in possesso, che vennero poi completati dagli accordi START II firmati dal presidente americano Bush senior e il presidente della neonata Comunità di Stati Indipendenti Boris Ieltsin.
La fine dell’Unione Sovietica e l’allontanamento di Gorbachev
I successi in politica estera vennero tuttavia accompagnati da difficoltà sul piano interno. Le aperture pseudo democratiche di Gorbachev portarono infatti all’elezione di un Congresso del popolo, un’innovazione molto importante rispetto a come fino ad allora l’Unione Sovietica era stata governata. Si abolì successivamente la parte della Costituzione sovietica che prevedeva la funzione dirigente del Partito comunista, e Gorbachev venne eletto presidente dell’URSS, conservando tuttavia la direzione del partito nonostante i malumori crescenti. In quel tempo sempre maggiore risalto ottenne Boris Eltsin, rappresentante di Ekaterininburg, che si era fatto promotore di istanze ancora più aperte e democratiche.
Nell’agosto del 1991 gli elementi più conservatori del partito tentarono di rovesciare la leadership di Gorbachev organizzando un vero e proprio colpo di Stato, che fallì ma che aprì ancora di più la strada alla presa del potere da parte di Eltsin, il quale nel frattempo aveva assunto la presidenza dell’URSS. Nel dicembre 1991 si giunse finalmente alla nascita della Comunità di Stati Indipendenti con gli accordi di Alma Ata, alla quale aderirono anche altre repubbliche transcaucasiche, determinando l’allontanamento definitivo di Gorbachev dalla scena politica.
L’ex segretario generale del PCUS continuò a condurre una vita lontana dai riflettori ma sempre molto attiva per poi morire il 30 agosto 2022 a Mosca.
Fonti consultate
E. Di Nolfo, Storia delle relazioni internazionali. Gli anni della Guerra Fredda 1946-1990, Roma Bari, Laterza, 2015
G. Vacca, La sfida di Gorbaciov. Guerra e pace nell’era globale, Roma, Salerno Editrice, 2019