Come per tutti i Paesi del mondo anche attorno al Brasile gravitano una serie di luoghi comuni. Giusto per ricordarne qualcuno: bossa nova – carnevale di Rio – favelas. Un po’ come dire per l’Italia pizza – mafia – mandolino.
Per fortuna, luogo comune non equivale a realtà – almeno, il più delle volte. Sotto sotto, diciamocelo, una verità c’è sempre – prendiamo ad esempio l’Italia: beh, è indubbio che la pizza sia una specialità dello Stivale e che l’italiano medio inorridisca al pensiero dell’innaturale ananas sulla pizza; certo non si può negare che la mafia sia stata, e sia tuttora, particolarmente spietata e diffusa nella penisola italiana – tolti i milioni che l’industria cinematografica americana ha guadagnato, di fatto, a spese della nomea degli italiani; sul mandolino non saprei che altro dire se non che ha chiare e profonde radici nel Mezzogiorno magnogreco d’Italia.
Saremmo degli ipocriti se dicessimo che quando pensiamo al Brasile non ci mettiamo a canticchiare un ottimo motivetto bossa nova con un po’ di saudade nella tristeza – possibilmente questa:
Chega de saudade, come recita il titolo della canzone, è la ricerca di quelle sfumature di allegria nella tristezza, sentimento essenziale per capire e raccontare il Brasile.
E mi piacerebbe davvero molto ciondolarmi e tergiversare nel racconto di fenomeni musicali, partite di pallone e bellezze paesaggistiche, ma c’è un argomento che trovo più urgente ed estremamente sconcertante: Jair Messias Bolsonaro.
Come nella grande tradizione populista di estrema destra (vedi Donald Trump, ma anche il nostro beniamino Matteo Salvini) anche Bolsonaro è campione di affermazioni controverse – che smettono di fatto di esserlo per questioni di recidività e diventano a tutti gli effetti note ed affermate (ed improponibili) idee politiche.
Ma prima di tutto un po’ di sana storia politica: Jair Bolsonaro – il Messias – conquista il titolo di presidente del Brasile il 1º gennaio del 2019, come candidato ufficiale del Partito Social-Liberale. Ma non è tutto: il nostro pupillo è stato sostenuto non solo dalle ultraconservatrici e misogine chiese unite – sia lode! – ma anche dal Partito Rinnovatore Laburista Brasiliano. Bolsonaro, votato anche dalle milioni di vittime della sua politica reazionaria (poveri, neri, donne, comunità LGBTQ), ha dalla sua parte alleati come la Bancada Ruralista dei fazendeiros, la Confindustria brasiliana, le multinazionali energetiche.
Con questa eccezionale gamma di sostenitori ha vinto il secondo turno delle elezioni presidenziali con il 55,20% dei voti, lasciando il suo oppositore Fernando Haddad, del Partido dos Trabalhadores fermo al 44,80%. Un quadro niente male, che costituisce il perfetto background per colui che è stato ripetutamente accusato di fascismo sudamericano e di basare il proprio operato principalmente sulla disinformazione (tendente di fatto alle ormai famose ideologie alt-right).
Per fortuna, non tutto il popolo brasiliano si è unito a sostegno del Trump sudamericano: durante la sua campagna elettorale, difatti, è nato il movimento #EleNão (trad. dal portoghese #LuiNo) guidato dalle Mulheres Unidas Contra Bolsonaro con manifestazioni diffuse in tutto il Paese e anche all’estero.
L’antefatto che ha portato all’istituzione del movimento femminile riguarda certe affermazioni – tra le controverse di cui sopra – che rilasciò in un’intervista a Zero Hora nel 2015. In quell’occasione Jair sosteneva che uomini e donne non dovrebbero ricevere gli stessi stipendi, considerando che le donne rimangono incinte, e aggiungendo, come ciliegina sulla torta, di reputare la legge federale che impone il congedo di maternità retribuito un danno alla produttività del lavoro.
Ma proseguiamo pure con la disamina dell’operato del nostro caro dittatore neofascista.
Il rapporto “Dangerous man, dangerous deals – Why the EU should not strengthen relations with Bolsonaro” rilasciato a gennaio 2022 da Greenpeace International, che si basa sui dati raccolti dall’Instituto Nacional de Pesquisas Espaciais (INPE), evidenzia come la deforestazione dell’Amazzonia sia aumentata esponenzialmente dal 2019: «da quando Jair Bolsonaro è diventato Presidente del Brasile, nel 2019, la deforestazione amazzonica è aumentata del 75,6%, gli allarmi per gli incendi forestali sono cresciuti del 24% e le emissioni di gas serra del Paese sudamericano sono aumentate del 9,5% ».
Il rapporto prosegue con questi preoccupanti toni: «Nel 2019, anno in cui Bolsonaro entrò in carica, il tasso annuo di deforestazione in Amazzonia era di 7.536 km2. Tre anni dopo, l’INPE ha annunciato che, tra agosto 2020 e luglio 2021, sono stati distrutti 13.235 km2 di Amazzonia: un aumento del tasso di deforestazione di oltre il 75% rispetto al 2018. Un inesorabile peggioramento che si presagiva già durante il primo anno di governo, in cui la deforestazione in Amazzonia era aumentata del 34% rispetto al 2018, passando da 7.536 km2 a 10.129 km2 di foresta distrutta».
Bolsonaro ci fa capire che per lui la foresta amazzonica è soltanto una risorsa economica da sfruttare.
Non vorrei infierire oltre, ma si dà il caso che basti digitare su Google la meschina parola Bolsonaro per trovarsi sommersi da una cascata di affermazioni indecenti.
Eccovi – a titolo d’esempio – le parole del presidente che, in occasione della 30esima edizione della Marcia per Gesù, si è espresso contro l’aborto e l’ideologia dei genere:
Fortuna vuole che ad ottobre in Brasile si tengano le elezioni presidenziali: quale sarà il livello di popolarità raggiunto dal nostro Jair?
Oh no! – pare proprio che negli ultimi due anni il suo gradimento sia sceso in picchiata, causa gli scandali, le accuse di corruzione che hanno coinvolto lui, la sua famiglia e i suoi amichetti politici, ma anche e soprattutto la pessima gestione della pandemia di Covid-19.
Persino il suo ex ministro dell’Ambiente Ricardo Salles, indagato dalla Corte suprema per aver interferito nelle indagini sulle esportazioni illegali di legname, ha rassegnato le dimissioni.
L’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva del Partido dos trabalhadores, favorito nei sondaggi, attende al varco il caro Jair, che lo aveva propriamente fatto fuori, mettendolo in galera per un presunto scandalo senza effettive prove giudiziarie.
Le elezioni sono alle porte in Brasile, ma anche in Italia. Unisco al grido delle Mulheres Unidas #EleNão (#LUI NO) un forte e chiaro #ElaNão (#LEI NO)!