Alla fine degli anni ’90 del Novecento uno scienziato politico poi divenuto estremamente celebre, Joseph Nye, presentò al mondo la propria innovativa teoria sulle relazioni internazionali. Nei suoi scritti, Nye teorizzava l’esistenza di due diversi modi di intendere il potere che gli Stati esercitano su altri Stati: uno, l’hard power, è il ricorso a metodi coercitivi, fin quando al conflitto armato; l’altro, il soft power, consiste nell’utilizzo della cultura (intesa in senso ampio), dei valori e dei principi comuni. La divisione appare alquanto netta. Ma se invece esistesse uno strumento che possa essere hard o soft a seconda delle circostanze? E se questo strumento fosse antico quanto il mondo?
Il cibo ha dimostrato di giocare un ruolo unico nel suo genere nella società, così come in politica e in diplomazia. La sua unicità può essere ricondotta, tra i tanti motivi, anche alla sua capacità di fungere da strumento coercitivo e, all’occorrenza, anche da mezzo con cui esercitare influenza in maniera pacifica.
Gli esempi a sostegno di questa tesi sarebbero molteplici in entrambi i casi.
Spesso si è utilizzato il cibo come strumento di pressione sugli Stati per evitare un conflitto o per tentare di porvi fine. Interessante è, a tal proposito, l’interpretazione dell’art. 41 della Carta delle Nazioni Unite che hanno più volte dato gli Stati. L’articolo prevede, come strumento diverso dalla forza armata per porre fine ad una situazione in grado di turbare la pace e la sicurezza internazionale, anche l’interruzione delle relazioni economiche, che in più di un caso si è tradotto con l’embargo, ossia “l’atto con il quale uno Stato dispone il sequestro di navi mercantili estere ancorate nei suoi porti o presenti nelle sue acque territoriali, o impedisce loro di allontanarsi”. Navi mercantili cariche, nella stragrande maggioranza dei casi, di derrate alimentari.
Anche durante la guerra stessa il controllo sul cibo è fondamentale. La sua scarsità può avere un diretto impatto non solo sull’efficienza dei soldati sul campo di battaglia, ma anche nei confronti della popolazione civile, peraltro in ciò violando uno degli articoli del secondo Protocollo allegato alle Convenzioni di Ginevra del 1949 che vieta di utilizzare la privazione di cibo come strumento di guerra.
Altre guerre valgono la pena di essere menzionate, non quelle condotte mediante il cibo, ma sul cibo. Molto spesso esso si è infatti dimostrato terreno di scontro, soprattutto per ciò che concerne la provenienza di determinate specialità. È noto, infatti, come Israele e Libano si contendano i natali dell’hummus, e i palestinesi e gli israeliani, in aggiunta alle eterne dispute territoriali, dibattano anche sulla provenienza dei falafel.
Non necessariamente l’uso del cibo come strumento di hard power deve avvenire sul campo di battaglia; spesso esso è stato strumento di coercizione anche sul campo negoziale, e non in senso astratto. Si narra un episodio durante il quale il primo ministro britannico Margaret Thatcher abbia ridotto a più miti consigli l’allora presidente francese Giscard d’Estaing durante dei negoziati in ambito europeo semplicemente vincolando l’inizio della cena al raggiungimento di un accordo.
Il cibo, però, non è solo strumento attraverso cui si esercita potere coercitivo, ma anche un mezzo con cui si costruiscono connessioni con altri popoli sulla base di valori, culture e tradizioni. Attraverso di esso le relazioni internazionali sono facilitate e fondate sul rispetto e l’accettazione della diversità ma anche sulla condivisione del proprio patrimonio culinario.
Mangiare insieme e condividere la stessa tavola può essere un modo per favorire l’andamento positivo dei negoziati; sarebbe stato la condivisione dei pasti per la prima volta dopo settimane di trattative durante i negoziati per l’accordo internazionale sul nucleare stipulato tra Iran, Stati Uniti, i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite con l’aggiunta della Germania, e l’Unione Europea, che si sarebbero verificati degli effettivi progressi per il raggiungimento dell’accordo. Un altro esempio sono le indiscrezioni trapelate sul menu che sarebbe stato predisposto durante l’ultimo incontro del presidente sudcoreano Moon Jae-in e del leader della Corea del Nord Kim Jong-un; le pietanze servite sarebbero state dei piatti della città di origine del presidente della Corea del Sud e specialità tipiche svizzere, dove si ritiene che il leader nordcorreano abbia studiato durante la sua adolescenza. La condivisione di ricordi della propria giovinezza sarebbe senza dubbio stata di aiuto nel trovare punti di accordo.
La condivisione e l’apprezzamento per determinate pietanze e/o bevande può passare anche attraverso il riconoscimento del loro valore universale. È ciò che accade, in particolar modo, con la loro iscrizione alle liste UNESCO dei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. Il nostro Paese ha visto l’iscrizione a tali liste numerose volte, per la pizza, ad esempio, o per la dieta mediterranea. Rileva, in questo caso, anche la valorizzazione dei luoghi dove cibi e bevande vengono prodotte, o l’arte della produzione di tali cibi e bevande; nel caso italiano, tale valore è stato riconosciuto per le colline delle Langhe e del Monferrato dedite alla produzione del vino comunemente conosciuto come prosecco, e recentemente (2021) per l’arte della ricerca e della cavatura del tartufo.
La valorizzazione delle tradizioni enogastronomiche passa, oggi, anche dalla cosiddetta “food diplomacy”, ossia l’uso del cibo come strumento di diplomazia culturale popolare per promuovere il brand nazionale e, contemporaneamente, unire la popolazione nazionale sotto l’egida degli usi culinari comuni. Il termine “food diplomacy”, utilizzato in maniera interscambiabile insieme con l’espressione “gastrodiplomacy”, è stato coniato da Paul Rockower per descrivere l’interrelazione esistente tra cibo e politica estera e il modo in cui i Paesi trasmettano i propri valori culturali ad altri partners attraverso il cibo. Molti Stati già da molto tempo lo utilizzano poiché hanno una tradizione culinaria particolarmente rilevante e diffusa anche all’estero. L’Italia, ad esempio, ha sempre puntato molto sul cibo come strumento di diplomazia culturale per attrarre partners e consolidare le relazioni; non è un caso se i prodotti italiani del settore enogastronomico sono molto ricercati all’estero e costituiscono una parte estremamente rilevanti delle esportazioni italiane nel mondo. L’ultimo EXPO svoltosi in Italia, nel 2015, ha inoltre avuto come tema principale, non a caso, il cibo come mezzo per costruire contatti tra Stati. Altri Paesi hanno riconosciuto il cibo come strumento di soft power da poco, e lo hanno utilizzato per promuovere una nuova immagine di sé stessi. È stato questo il caso di diversi Paesi asiatici, tra cui spiccano la Tailandia, Taiwan e la Corea del Sud, nonché alcuni Paesi latinoamericani, come ad esempio il Perù. La promozione delle tradizioni enogastronomiche per questi Paesi va molto oltre l’essere una strategia di marketing: li può aiutare, se ben condotta, ad uscire dal proprio relativo isolamento (soprattutto per Taiwan, cui manca il riconoscimento ufficiale da parte di molti importanti Paesi) e ad affermarsi come potenze egemoni culturali.
Il ruolo che il cibo ha nelle relazioni internazionali è spesso sminuito o comunque poco dibattuto nell’ambito delle teorie delle relazioni internazionali, ma i suoi effetti sono in realtà, come visto, estremamente rilevanti. Sembrerebbe dunque arrivato il momento di integrarlo e di approfondirlo meglio in questo contesto…forchette alla mano, naturalmente!
Fonti consultate
https://www.unesco.it/it/ItaliaNellUnesco/Detail/189 ultimo accesso 20 febbraio 2022
https://www.bbc.com/news/world-asia-43901821 ultimo accesso 20 febbraio 2022
https://www.researchgate.net/publication/322765721_The_Role_of_Food_in_Diplomacy_Communicating_and_Winning_Hearts_and_Minds_Through_Food ultimo accesso 20 febbraio 2022
https://www.jstor.org/stable/pdf/resrep10919.6.pdf ultimo accesso 20 febbraio 2022
http://yris.yira.org/essays/3080 ultimo accesso 20 febbraio 2022
https://www.fedlex.admin.ch/eli/cc/1982/1362_1362_1362/it ultimo accesso 20 febbraio 2022
https://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/ISSMI/Corsi/Corso_Consigliere_Giuridico/Documents/26122_carta_ONU.pdf ultimo accesso 20 febbraio 2022