KRAUTROCK – 10 album ai confini della realtà

* in copertina: Amon Düül II Hijack (1974); cover album, particolare.

Oltre al Terzo Reich, all’Oktoberfest, ai sandali Birkenstock indossati orgogliosamente coi calzini ci sarà rimasto pur qualcosa di ‘sta Germania, no?
Perché di questa nazione si evidenziano sempre i più affollati luoghi comuni, e mai che si citi il benedetto Krautrock!

Sarà per quel suo effetto acustico severo ed anche un filino metallico che, spesso, la prima associazione mentale spontanea che si fa con questa parola è capace di generare forti richiami ai suoni alla Kraftwerk (a partire dal terzo album) e all’avantgarde elettronica, sperimentale e tenace come quella di Karlheinz Stockhausen e la Berliner Schule. A conti fatti può dirsi un sottogenere del progressive rock, con una differenza che ne ha fatto un prodotto a se stante: se gli anglo-americani sfruttavano la matrice classica e jazz, i tedeschi tirarono fuori un filone pienamente autarchico che, in molti casi – ma occorre ricordarlo, non in tutti – faceva leva sul pionierismo dell’elektronischen Musik.
Ancora più nello specifico, si rivelava utile a definire tutta la musica ad indirizzo rock che a quel tempo oltrepassava i confini teutonici.

Cos’è davvero il Krautrock?

Si prende una pentola, si versa del beat, del rock, del prog rock, del rock’n’roll, del free jazz, della musica elettronica, del blues, del folk, si mescola il tutto vigorosamente più volte, si aggiunge un pizzico di rock tedesco – ed ecco il Krautrock!!!.


good-vinyl.de 04/2021

Il suo palcoscenico fu la fine degli anni ’60 e l’inizio dei ’70 e ad accendere la miccia kraut furono un susseguirsi di esigenze diverse, una delle quali è il riscatto da un passato per nulla lusinghiero per il popolo alemanno, il cui trascorso ebbe – prevedibilmente – un peso particolarmente gravoso sui giovani. E poi vennero le lotte studentesche del ’68, la tanto anelata conquista dello spazio grazie a Neil Armstrong a bordo dell’Apollo 11 (non sorprende che il Krautrock fosse anche chiamato Kosmische Musik), che tenne tutto il mondo sull’attenti, e – manco a dirlo – le droghe psichedeliche e la cultura dei viaggi ascetici in India, un po’ per ritrovare se stessi ed ancor meglio per fuggire via da una società dalla quale si voleva prendere accuratamente le distanze rimpossessandosi della propria, essenziale ed esclusiva identità. Vuoi che tutto questo non si sia riflettuto sull’aspetto musicale?

Le droghe in realtà avevano poco a che fare con la musica, ma erano presenti, come lo erano in generale in quel periodo. Parlo di marihuana/hashish, che erano molto popolari a quei tempi. Tutti i minori di 30 anni fumavano questo e quello, gli anziani lo facevano anni fa e ancora i fiumi scorrono… Le droghe sono state e saranno parte della vita, non necessariamente perché uno è un musicista, un pittore, un architetto o uno psilocibino?

C’erano e hanno occupato gran parte del mio tempo, ma c’era un’altra droga di cui mi sono innamorato: la musica.

Manuel Göttsching, chitarrista degli Ash Ra Tempel

È stata sciorinata a lungo la leggenda secondo cui il termine Krautrock fosse stato coniato dalla stampa inglese – volendo, anche in chiave lievemente denigratoria – mentre fu l’agenzia POPO Management Inc. a farlo apparire per la prima volta nel ’71, in una sua pubblicità autoironica apparsa sul music magazine britannico Melody Maker. Venne raccattato dagli americani soltanto in un secondo momento, per promuovere una serie di concerti dell’etichetta Bacillus di Francoforte alla quale la stessa POPO era affiliata. Un appellativo acquisito così prontamente dal gergo underground tanto che andò a sostituire “new German music” e “German music”, oltre al fatto che i Faust ci intitolarono pure un pezzo che campeggia come traccia d’apertura di quell’indimenticabile eccellenza che è l’album Faust IV del 1973.

Alcuni gruppi come CAN, Faust, Popol Vuh, Ash Ra Tempel, Neu!, Amon Düül II, Guru Guru, Agitation Free, Birth Control, Tangerine Dream, Cluster (che nel ’77, assieme a Brian Eno, fecero uscire un album che dona l’equa pace cosmica dei sensi) e gli stessi Kraftwerk, riuscirono – con la stessa grinta con cui Armstrong marcò quelle sue polverose e fluttuanti impronte sulla luna – nella titanica impresa di varcare i confini della madrepatria, cosa che permisero loro di acquisire la notorietà che li ha fatti viaggiare fino a noi.
Altri, meno fortunati, rimasero ben saldi entro i confini: a molti di loro toccò il destino di meteore, con la pubblicazione di un solo album per poi dissiparsi nel freddo e misterioso vuoto dell’universo.

A te, esploratore cosmico, tocca penetrare ancora più in profondità. Eccoti la mia selezione 10 album Krautrock letteralmente ai confini della realtà!
[Qualora volessi lanciarti in un’esplorazione totalmente autonoma sappi che ti amo, ti benedico e ti consiglio caldamente di fare un giro su Krautrock-Musikzirkus!]

Cinture di sicurezza allacciate. Motori attivati. Major Tom pronto al decollo. Torre di controllo, mi ricevi?
3… 2… 1… LIFT-OFF!

1. XHOL CARAVAN ~ Electrip (1969)
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Mai e poi mai avrei potuto tralasciare un album che si apre con uno sciacquone della toilette. Probabilmente, l’istante in cui uscì fuori il termine Krautrock coincise con l’esigenza di dover parlare dei Xhol Caravan. La grafica particolarmente liquida e torbida di questa cover è solo l’apripista di un lavoro lisergico, dal suono impataccato di dogmatismo psichedelico.
Un lavoro embrionale, fatto di picchi atmosferici in cui psych-rock, jazz e una bella venatura funk s’incontrano, si scontrano e poi fanno all’amore, con buona pace dei predecessori della scuola brit-american. L’alternarsi di organo, sax e clavicembalo ci ricorda che anche la follia possiede una sua forma d’ordine, qualunque cosa voglia dire.
In casi come questo il virtuosismo non sarebbe dovuto, ma c’è e anima e spessore.
Profuma di Hawkwind, Doors, Ozric Tentacles e anche un po’ del Take Five di Dave Brubeck.
Electrip è quel piccolo capolavoro dimenticato che ogni ascoltatore curioso merita d’incontrare.

2. NOSFERATU ~ Nosferatu (1970)
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È uno di quei classici lavori rock tipici degli anni ’70, piacevole e quasi impressionante. Se la cover album trae in inganno con una grafica da film horror vintage-pop, l’organo di Reinhard “Tammy” Grohe entra di prepotenza profetizzando l’avvento della progressive era tra i crucchi, mentre gli efficaci i passaggi di Christian Felke al sax/flauto rincorrono la chitarra di Michael Meixner.
Sono un misto di Flock, Van der Graaf Generator e anche un po’ di Nosferatu stessi.
In questo unico loro album omonimo offrono del materiale estroverso e fresco, dove c’è spazio anche per jazz-rock e funky che esplodono in un tentativo di coraggioso progressive nella traccia No. 4 ed in un altro, stavolta più latin, di Vanity Fair.
C’è chi lo ha definito come un tiepido e rozzo tentativo di psych-proto-prog; io voglio lasciare la retorica ad altri e preferisco manifestare il dispiacere di non aver potuto ascoltare l’evoluzione di questa band.

3. TANGERINE DREAM ~ Alpha Centauri (1971)
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Se sei almeno un po’ avvezzo al genere, il nome dei Tangerine Dream sicuramente non ti suona nuovo: sono tra i migliori esponenti dell’electronic rock made in Berlin. Spetta a loro il grande merito di aver introdotto sintetizzatore e sequencer, creando suoni spaziali evocativi e fortemente meditativi.
L’album Alpha Centauri è di un’impressionante importanza storica, racconta lo sbocciare della musica elettronica: è una marmellata cosmica, ricalcata da chitarre psichedeliche ed effettistica da nebulosa multicolore a richiamo di un’assolutezza interstellare che l’uomo comune non può far altro che sospirare.
Non è uno di quei lavori accessibili a tutti, ma decreta certamente uno dei più interessanti punti d’inizio dell’esplorazione musico-spaziale tedesca.
La title track – della modesta durata di 22 minuti – è una tappa necessaria per ogni viaggiatore che si rispetti!

4. ZARATHUSTRA ~ Zarathustra (1972)
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Irruente il timbro vocale di Ernst Herzner, vocalist dei Zarathustra in quello che fu il loro unico lavoro trasmesso ai posteri.
Un album enigmatico, oscuro ed emotivo i cui arrangiamenti si distendono fino a toccare l’hard-rock.
I progheads concordano all’unanimità che la band sia la versione teutonica degli Uriah Heep, e francamente è faticoso dargli torto: l’incedere dell’organo di Klaus Werner richiama – e anche di parecchio – quello di Ken Hensley.
La batteria di Wolfgang Behrmann potrebbe sembrare fin troppo essenziale, ma è misurata al millimetro e – cosa essenziale – non sovrasta gli altri elementi. Risulta deliziosa, piacevole e ben bilanciata.
Zarathustra: un album senza dubbio sottovalutato, da riscoprire, da amare e di cui procurarsi una copia.

5. YATHA SIDHRA – A Meditation Mass (1973)
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Da Friburgo al vortice del cross-genre: A Meditation Mass è prima jazzy e subito dopo psichedelico, è acido, con passaggi strumentali del flauto che arriva come fortemente ispirato e travolgente.
Tutto, all’interno di questo disco dei Yatha Sidhra, risulta magnetico e come proveniente da un’altra dimensione. Le percussioni in chiave rock trascendentale marcatamente ipnotico sono il tocco di classe per eccellenza : smuovono lentamente l’atmosfera, cristallizzano i timpani e fanno dilatare le pupille.
Non sei fatto. Stai solo ascoltando buona musica. Cosa si prova?
Part 3 è il pezzo più intenso e contemplativo in cui ogni elemento risulta ben amalgamato, anche se forse ripetitivo. Ma il trip regalato dalla chitarra – in riff sognanti – ed il basso – quasi meccanico, rasentando l’automatismo – ne fanno un capolavoro di rumori atmosferici in cui perdersi.
Non serve ritrovarsi, va bene così.

6. COSMIC JOKERS ~ Gilles Zeitschiff (1974)
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La storia di questo gruppo è davvero curiosa, perché di fatto… non è mai esistito. Tutto nacque da Rolf-Ulrich Kaiser – produttore musicale tedesco e capo dell’etichetta OHR – che organizzò svariate feste/jam session a base di LSD presso lo Studio 1 di Dieter Dierks (noto anche per essere il produttore degli Scorpions), eventi in cui Kaiser cercò pure di coinvolgere il poeta beatnik Allen Ginsberg, sempre senza successo. I musicisti invitati a partecipare facevano tutti quanti parte di band abbastanza in voga all’epoca, tra cui anche Manuel Göttsching e Klaus Schulze degli Ash Ra Tempel.
Le sessioni di improvvisazione vennero registrate, curate e mixate dai due compari Kaiser e Dierks alle spalle degli ignari musicisti, e ne uscirono fuori cinque album pubblicati tutti quanti nel giro dello stesso anno.
Fun fact: Göttsching ascoltò accidentalmente un pezzo dei Cosmic Jokers in un negozio di dischi di Berlino, rimanendo estasiato ed incuriosito… salvo poi rendersi conto che il chitarrista fosse lui! Partì una (giustissima) baruffa legale, al termine della quale Kaiser fuggì dal paese ed il suo impero discografico andò in frantumi.
E che Kaiser, insomma!

7. HARMONIA ~ Musik von Harmonia (1974)
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Ok ok, questa è una pietra miliare del genere! È impossibile non citare gli Harmonia se si parla di Krautrock, il supergruppo formato da Michael Rother dei Neu!, e da Dieter Moebius e Hans-Joachim Roedelius dei Cluster.
A parte la copertina iconica, Musik von Harmonia è un lavoro che spalanca le porte dell’esplorazione attiva della musica tedesca, ed è uno dei suoi punti più prolifici. Ripulisce da qualsiasi concezione musicale antecedente e fa parte di quel filone di musica eccezionale come di rado è stata mai creata. L’intenzione musicale è sfrontata e graffiante, racchiusa in una bottiglia di detersivo i cui colori danno ad intendere un certo eroismo pungente fatto di ritmi elettronici.
Brillante, rivoluzionario, con atmosfere e groove caldi e vibranti che si evolvono in 43 minuti di visione tantrico-spaziale.
Sperimentazione minimalista e armonia siderale: l’espressione più bella del futurismo caleidoscopico.

8. POPOL VUH ~ Einsjäger & Siebenjäger (1974)
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I Popol Vuh sono un altro grande nome del panorama Krautrock: sperimentatori caparbi sin dai loro inizi con l’album Affenstunde (1970), affondano le loro radici nell’uso massiccio del Moog mescolato alle percussioni, fino a proiettarsi nella sperimentazione che li vede fondersi all’elettronica e proiettarsi verso un approccio decisamente più spirituale che darà vita alla loro interpretazione di avantgarde.
Einsjäger & Siebenjäger fa parte del loro periodo intermedio in cui la linea melodica assume toni sempre più intensi ed abbaglianti, e la lirica più virtuosa e raffinatamente acida. A screziare di contemplazione quest’album sono il pianoforte di Florian Fricke, l’espressività del chitarrista Daniel Fichelscher e la voce discreta della soprano sudcoreana Djong Yun.
Un’opera introspettiva e sognante, imbottita di melodie fluttuanti ed irrobustita da impulsi ritmici e climax spirituali, di cui i Popol Vuh hanno fatto il loro esclusivissimo marchio di fabbrica.

9. SATIN WHALE ~ Lost Mankind Musik von Harmonia (1975)
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I Satin Whale esternano in questo lavoro una certa propensione al gusto americano. Un flauto cristallino e prezioso come pochi altri, l’Hammond che domina ed un prog forse talvolta troppo cauto e troppo modesto, ma che piace e pure un casino! Loro ricordano particolarmente i Jane – altro gruppo Krautrock di spicco all’epoca – che però avevano un taglio decisamente più strong, e per certi versi Deep Purple (che stanno quasi finendo nel dimenticatoio ed è bene citare).
Lost Mankind significa ficcarsi all’interno di un vortice: è un crescendo di ritmi groovy sofisticati e ambiziosi, che si fanno via via più più articolati pur mantenendo una raffinatezza mescolata a psychedelic.
Credo dia anche la sensazione di tenere tra le mani una di quelle Polaroid ambrate dal tempo, che lasciano sui polpastrelli una patina di ruvidezza e languore per i ricordi piacevoli e malinconici. La title track Lost Mankind è monumentale ed energica, già da sola è perfettamente autosufficiente e pronostica il fascino dell’album.
Uno dei più riusciti esempi art rock.

10. MORPHEUS ~ Rabenteuer (1976)
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I Morpheus sono stati una naturale evoluzione della band Opossum, attraversando prima la scia del rock psichedelico e – immediatamente dopo – accelerando sulla carreggiata dell’improvvisazione jazz.
Rabenteuer è un album interessante in cui si snodano groove intriganti uno dopo l’altro, tra tempeste di riff di chitarra, tastiere cupe ed un sax che suona stravagante ed inconsueto. Un terreno fertile per varietà e virtuosismo: se l’omonima traccia risulta solenne, calda e maestosa, Tanz Der Morphine ha la peculiarità dei cambi di tempo che s’intercalano a brevi esplosioni sonore e Brandung offre una chiave di lettura più malinconica del sax.
Si può dire che sia uno degli lavori migliori del genere? Probabilmente no, ma rimane una piccola bellezza di free jazz fuso a rock in cui i musicisti avvertono l’urgenza di esprimere la loro parte più autentica e custodirla all’interno di una cover che rimanda al surrealismo, all’inconscio e al subconscio.

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