Quando Kurt s’è sparato circolavano ancora le audiocassette, che mi ostinavo ad inserire nel mangianastri dal lato sbagliato con l’unico scopo di fare un dispetto a mio nonno per leggergli l’irritazione tra le rughe della fronte, facendo collassare l’impianto di entrambi.
Avevo circa sei anni, la consapevolezza di essere una carogna e allora i Nirvana non li conoscevo.
Pare che all’umanità servano degli occasionali episodi di violenza o autoflagellazione per scoprirsi parte emotivamente attiva di questo mondo. Sarà che ricordare che la vita non sia solo cazzeggio ci riporti a respirare, anche se rantolando e anche se con l’ennesimo velo di dolore addosso. Rievoca un po’ quella patina dorata di Rocky dell’Horror Picture Show, tanto sottile da fonderglisi con la pelle sottostante; gli donava un’aura preziosa, anche se era il volto superficiale dell’emarginazione.
Come pure i tratti puliti di Gwyneth Paltrow, che ha finito per normalizzare l’anoressia tra le ragazzine fragili, disposte a nutrirsi di una Tic Tac a pranzo pur di assomigliarle. Non si sa se fosse voluto o meno, però adesso armeggia con delle uova di giada – le Yoni Eggs – che vende per far allenare il pavimento pelvico delle signore troppo ricche e stravaganti, quelle che avendo finito le dita a furia di anelli incastonati sono passate a concentrarsi su come infilare pietre preziose perfino lì. La Paltrow sostiene abbiano poteri taumaturgici, oltre a regalare infezioni vaginali.
La regola è sempre quella: va tutto bene fin quando la ruota non sta girando per te.
È certo che i nastri fossero sensibilmente più economici delle uova della Paltrow, in più potevano darti quella felicità spicciola di cui l’uomo qualunque è alla costante ricerca.
La casa dei miei nonni debordava di quei cimeli, insieme alle foto di Wojtyla che benedice il popolo.
Kurt non lo saprà mai, ma la primissima cassetta che ho fatto suonare conteneva un mix di Nilla Pizzi con Vola colomba, Stasera mi butto di Rocky Roberts e qualche altro pezzo in voga ai tempi delle balere.
Facevo strisciare sul pavimento un pesante stereo portatile [n.d.r. se sei troppo giovane non sai che allora le cose erano fatte con materiali buoni e la leggerezza non rientrava tra le peculiarità], infilavo gli occhiali-fondo di bottiglia di mio nonno e premevo il tasto di riproduzione. Il restante rituale prevedeva che camminassi lungo il corridoio con le lenti a filtrarmi lo sguardo, per un pavimento dilatato e pareti allargate e poi ristrette, mentre le mie cellule inglobavano musica.
Anche se dopo mi saliva la nausea.
Ricercavo già paesaggi lisergici, ma ero troppo piccola per riconoscerlo.
Che poi siano esplosi gli Articolo 31 e altri, come loro, a stritolare la barriere del suono, violentando la Beat Generation e la cultura dell’erba è una storia che avrei piacere a dimenticare.
[Bob Marley lasciamolo dove sta.]
Se non fosse che arrivarono pure gli 883 di Max Pezzali, che con l’erba non avevano un apparente collegamento (ma che probabilmente avrebbero dovuto imbattercisi) e negli anni Novanta hanno fatto sentire le genti italiche alla stregua di leoni in cattività ai quali offri l’opzione della gabbia aperta, con palate di Gomgel – Tenuta Estrema a domare la criniera a ritmo di una timbrica cacofonica e motivetti che miravano a prepararci all’insurrezione del tamarro.
Fa parte di una di quelle robe che oggi si ascolta con rimpianto, tuttavia ai tempi nessuno sospettava quel risvolto e, pensa un po’, sopravviveva la pratica – sardonica? – di rincorrere i propri desideri.
Dato che poi cresci, viene l’inverno e ti basta riscaldare per qualche minuto sul termosifone i ritagli di carta igienica che utilizzerai, sapendo che quello sarà il massimo del piacere a cui puoi aspirare.
I sogni degli anni ’90, quelli belli di quando eri ragazzino e volevi fare il pompiere, la tua famiglia non si era ancora sfasciata assieme al tavolo della cucina e un posacenere in vetro e che ti permettevano di conservare negli occhi un fondo di luce scendono giù, goccia per goccia, con il getto del prossimo sciacquone. Lo stesso che dovrebbe spurgare lo sporco e mondare la tazza, ma che si rivela sempre un filino insufficiente ad estirpare il male. Di lì in poi terrai in conto che solo il fuoco sia deputato a ripulire per come si deve.
Che sia il cesso, che sia sia la tua anima.
Plebeo.
Che nessuno dica a Kurt che probabilmente tutto finì quel giorno, rapidamente, con troppo anticipo.
Con il disordine, una lettera e un fucile. Nell’ambiguità di non sapere bene come quei ventisette anni si siano liquefatti.
[Con la memoria di un raggio di sole che fa indorare i capelli vinti dal rigor mortis.]
Forse, invece, la magia dei ’90s sparì quel giorno del Duemila in cui un’embrionale I Disappear venne spifferata anzitempo tra gli archivi di Napster, ed i Metallica gli fecero causa minando il vespaio della pirateria. Lars Ulrich la chiamò succintamente shitsorm, senza però considerare che di lì a poco avrebbe acchiappato a fatica un 4/4 in live. Nell’aria, come la zagara fa l’amore col vento caldo, c’era il profumo dei lettori CD portatili dotati di sistema antisalto. Sembrava che lo spettro del futuro volesse prevalere sulla lealtà del nastro, però ad ogni movimento accennato ti si metteva in pausa il distacco dalla realtà.
Nessuno dovrebbe rivelare a Kurt che poi sarebbero arrivati i DJ a professarsi nuovi messia della musica seguendo le orme dei cristiani che odiano i piercing anche se Gesù ne aveva quattro, o che sarebbe uscito fuori il motivo – reale o immaginario, non ci è dato saperlo – per cui Malgioglio ha preso in mano anche la penna per scrivere la hit Gelato al cioccolato, della fioritura di “forme musicali” come la trap e di Iggy Pop che avrebbe consumato quel decisivo grammo di rocce lunari tanto da fomentarsi per i Måneskin.
Di certo, non è tutto grunge ciò che luccica.