Correva l’anno 1939. Il primo settembre di quell’anno un uomo tedesco di origine austriaca, Adolf Hitler, invadeva la Polonia, un Paese, a suo dire, fondamentale per garantire lo «spazio vitale» della Germania. A testimonianza di quell’episodio sono rimasti pochi video in bianco e nero che rappresentano carri armati e soldati tedeschi che si avvicinano al confine polacco.
Siamo nel 2022. Nessuno si immaginava che, ancora una volta, una guerra potesse scoppiare ai confini dell’Unione Europea, in Ucraina. I protagonisti cambiano, le dimensioni anche, così come le caratteristiche del conflitto. Quello che rimane lo stesso sono le motivazioni dietro la decisione di Vladimir Putin di sferrare un attacco al vicino ucraino: timore di vedere minacciata la propria sicurezza.
Da mesi il Cremlino insiste nel chiedere garanzie scritte per evitare che l’Ucraina in futuro possa diventare un membro della North Atlantic Treaty Organization (a tutti nota come N.A.T.O.), l’organizzazione militare occidentale nata nel 1949 ai tempi della guerra fredda proprio per contrastare un’eventuale minaccia sovietica. Il presidente russo è in realtà ben consapevole che un’adesione dell’Ucraina alla NATO non può essere neanche lontanamente né immaginabile né desiderabile nel breve periodo. Non si dimentichi che da anni va avanti sul territorio ucraino, nella regione del Donbass, un conflitto a bassa intensità, il quale ha portato già a migliaia di vittime, e che evidentemente le capacità militari del Paese, nonostante anni di aiuti economici da parte dei Paesi occidentali, soprattutto gli Stati Uniti, non sono sufficienti a renderlo pronto adesso ad espletare gli obblighi previsti dal Trattato del Nord Atlantico.
Un altro cambiamento rilevante, quello che forse più di tutti è cambiato e viene trascurato dalle analisi proposte da giornali e telegiornali, è il modo in cui la società civile può entrare in contatto con la guerra. Si è detto che quello che ci rimane dell’inizio della Seconda guerra mondiale sono riproduzioni video ancora un po’ incerte. Oggi, un altro strumento ha fatto una prepotente irruzione nella vita delle relazioni internazionali, e dunque anche in guerra, considerata il culmine della crisi delle relazioni internazionali tra due o più Paesi: i social media.
Non serve più, o perlomeno non soltanto, tenere accesa la televisione tutto il giorno per rimanere aggiornati sull’andamento del conflitto: basta essere iscritti a Twitter. I telegiornali stessi, nel riportare le notizie relative alla guerra, mostrano, a testimonianza delle fonti da cui ricavano le loro notizie, immagini di post pubblicati su quello che è uno dei più conosciuti social media al mondo.
Non solo le notizie riportate dagli account istituzionali di governi, organizzazioni internazionali ed esponenti politici in tutto il mondo sono disponibili online; anche la popolazione ucraina sta facendo largo uso dei social media per mostrare a tutti quanto accade al Paese. YouTube, Twitter, ma anche Facebook e Instagram forniscono immagini terrificanti dei bombardamenti, delle azioni dei soldati russi e dei rifugi anti aereo dove hanno trovato accoglienza gli ucraini rimasti, per non parlare delle code di profughi fuggiti dal Paese verso i Paesi dell’Europa dell’est. Moldavia in primis, ma anche, e soprattutto, Paesi membri dell’Unione Europea, in particolar modo la Polonia. Quella che stiamo vivendo è una crisi migratoria senza precedenti, e gli europei, che ancora fanno fatica a trovare punti di convergenza sulla riforma del sistema di ripartizione dei richiedenti asilo, hanno raggiunto un accordo sull’attivazione della direttiva 2001/55 sulla protezione temporanea per le persone bisognose di protezione internazionale. Tale direttiva contiene infatti norme per la concessione di protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di displaced persons per un periodo di tempo di un anno, prorogabile fino a due, e consente comunque ai soggetti in questione di presentare domanda per l’ottenimento dello status di rifugiato.
Le piattaforme social servono adesso anche ai politici coinvolti più o meno direttamente per trovare sostegno e aiuto diretto nel conflitto. L’account Twitter del presidente ucraino Volodimir Zelenski adesso conta oltre 6 milioni di followers (per intenderci, la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha “solo” poco più di 1 milione di seguaci), e attraverso di esso il presidente aggiorna continuamente sullo stato dei combattimenti e sui suoi contatti con partner da tutto il mondo, tentando di attirare verso l’Ucraina il maggior numero di aiuti possibili. La sua immagine in tuta mimetica, grazie ai social, è entrata nelle case di tutto il mondo e lo ha reso agli occhi di tutti un vero e proprio eroe, in prima linea per salvare il suo Paese. Il fatto che sia rimasto in Ucraina e non abbia abbandonato il Paese ha poi contribuito, e ancora contribuirà, a costruire il mito del salvatore della patria.
Anche la presidentessa della Moldova, Maia Sandu, ha guadagnato popolarità e sostegno sui social, soprattutto da parte degli europei, che hanno ricominciato a parlare di «support» per lo «European path» del Paese. La Moldavia è infatti il primo Stato che i rifugiati ucraini incontrano nella loro disperata fuga dalla guerra, e quanti più vi rimangono, tanti meno, è probabile, decideranno di raggiungere i Paesi dell’Unione.
I social possono essere uno strumento estremamente potente per abbattere le dittature. Questo ci è già stato dimostrato poco più di dieci anni fa durante la cosiddetta “primavera araba”, quando i social media sono serviti da piattaforma per l’organizzazione di proteste che hanno interessato un gran numero di Paesi arabi, portando in molti casi alla destituzione di governi autoritari al potere da decenni. Il presidente russo ben ricorda questi accadimenti, e per questo motivo sta cercando per quanto possibile di contrastare l’uso di piattaforme social, arrivando al punto di imporre che in Russia le televisioni non possano parlare di “guerra”, ma di “operazioni di mantenimento della pace”, e non possano altresì diffondere dati sul numero di vittime decedute a causa del conflitto. In più, il governo russo ha deciso di bloccare l’accesso a giganti come Facebook e Twitter. A chi oggi in Russia vuole restare aggiornato sullo sviluppo della guerra in Ucraina non rimane che tentare di accedere ai social network utilizzando reti virtuali private (VPN), considerato altresì l’inasprimento delle pene per i giornalisti stranieri che riportano notizie sulla guerra in Ucraina da poco approvato dal parlamento russo, dalla Duma considerate fake news. Il Cremlino stesso è in realtà particolarmente avvezzo alla diffusione di informazioni fallaci, e anche in questi mesi non si è certo tirato indietro dal farlo. I russi sono arrivati addirittura a sostenere che è stata l’Ucraina ad iniziare la guerra, e non il contrario, e per questo il governo russo sarebbe stato costretto ad intervenire per ripristinare la pace e la sicurezza nel Paese.
Sarà difficile evitare che le immagini che vediamo tutti i giorni sui social rimangano impresse nella nostra mente ancora per lungo tempo. L’unica speranza che ci può unire, adesso, è che i video della guerra in Ucraina diventino al più presto solo immagini nell’archivio di Twitter.