Amici, tirerei un sospiro di sollievo se potessi comunicare che si è andati ben oltre quell’insipido cliché che vuole la vita rock’n’roll come accomunabile a spararsi qualche grammo di coca e tracannare alcool a casaccio, e senza prima saper reggere l’equilibrio di bollicine di un’acqua frizzante.
Ma mentirei.
Che il rock non significhi per forza disperdersi negli eccessi?
Beh, a tutte le Rockstar Improvvisate in ascolto: questa storia è per voi!
Sintonizzatevi un po’ qui che vi presento chi la vita rock’n’roll l’ha fatta, e per davvero.
Alcuni di voi sono troppo giovani per essere finiti nella fascinosa spirale della radio. Adesso godiamo dell’immediatezza della musica on demand, eppure c’è stato un tempo decisamente più vintage – all’incirca tra il mesozoico ed il cenozoico – in cui ti dovevi procacciare il bottino, e se volevi ascoltare il pezzo che ti aveva fatto perdere la testa ti toccava sintonizzarti su una delle varie stazioni radio aspettando con la ferma pazienza di un monaco shaolin che qualcuno di buon cuore decidesse che fosse arrivato il momento di trasmetterlo, se non era troppo in voga. Nel frattempo ti capitava all’orecchio la qualsiasi e poi, quando finalmente arrivava lui, era l’estasi dei sensi e potevi concederti di accendere una sigaretta come dopo la migliore delle scopate.
La radio aveva un ascendente terribilmente romantico ed era compagna inseparabile di ogni amante della musica.
Anch’io ne ho subito l’influenza: attendevo arrivassero le prime ombre della sera ed il primo schiudersi della luce dei lampioni per infilare nelle orecchie le cuffiette di una radiolina portatile rosso fiamma che mio papà mi aveva regalato. Ascoltavo a più non posso, ogni sera, cullata dai break degli speaker e dall’accattivante programmazione notturna, più calda e passionale, iniziando a compromettere l’udito già dalla tenera età di sei anni. Ma questa è un’altra storia.
Il più moderno concetto di radio commerciale è un qualcosa di relativamente nuovo e non ha nulla a che vedere con quella che era la realtà di circa sessant’anni fa. A dirla tutta, se vivevi in UK nei 60s probabilmente ti saresti trovato davanti ad una manifestazione tutt’altro che esaltante, a tratti decisamente deprimente. Giravi la rotella fino a sentirne l’inconfondibile click e, senza troppa scelta, potevi beccare solo uno dei tre programmi che la BBC– che ai tempi deteneva il monopolio assoluto del servizio radiofonico nel Regno Unito – aveva concesso alla plebe: il Light Programme – dedicato alle forme leggere d’intrattenimento e alla musica mainstream, l’Home Service – trasmetteva notiziari, programmi informativi e teatrali ed il Third Programme – cucito accuratamente sul pubblico elitario, istruito, intellettuale, che passava in onda musica classica, jazz e concerti dal vivo.
A rompere la monotonia della BBC c’era Radio Luxemburg, sua antagonista e nemica giurata, un’emittente multilingue che copriva buona parte del suolo inglese con però un quantitativo aberrante di problemi di ricezione e dissolvenza, ma d’altro canto l’unica che si fosse accorta dell’esistenza di un pubblico giovanile che era giusto sfamare.
Quando l’atmosfera si fa più tesa ed elettrica, senti delle piccole scosse attraversarti il corpo a fior di pelle e avverti la bocca secca e ferrosa è il chiaro segnale che presagisce l’inizio della rivoluzione (o che tu abbia urgente bisogno di chiamare un’ambulanza). Che nel caso di cui stiamo per parlare questa folgorazione abbia coinciso con il crack di un paio di coglioni che si fracassarono senza troppe cerimonie, beh… è soltanto un sobrio risvolto.
Le palle in questione sono irlandesi – qualora facesse qualche differenza conoscerne la provenienza – e appartengono precisamente a Ronan O’Rahilly.
Classe 1940, personaggino decisamente interessante ed influente nella Londra di quel periodo, uomo d’affari con la caratteristica di avere un pregiato fiuto per i talenti, nei fabulous 60s O’Rhailly era proprietario del club Scene di Soho, luogo mistico in cui s’incrociava buona parte degli idoli dell’epoca (non solo musicali). Curava inoltre le public relation di attori, modelli e musicisti della scena pop, e tra i suoi meriti ci fu il lancio definitivo degli Animals. Tra i vari artisti che gli passavano per le mani anche Georgie Fame, eclettico tastierista jazz e blues da cui O’Rahilly rimase estasiato e del quale s’interessò di curare la promozione tra BBC e Radio Luxembourg, salvo poi sbattere pesantemente il muso contro ad un muro.
Entrambe le emittenti erano infatti accomunate da una regola non scritta: la musica mandata in onda era solo quella degli artisti appartenenti alle scuderie delle quattro major che allora dominavano il mercato. EMI, Decca, Pye e Philips dettavano legge e utilizzavano una pratica che in gergo tecnico è nota come payola che, volendo evitare più poesia del dovuto, altro non è che mafia discografica: l’etichetta, in sordina, elargisce moneta sonante ad un’emittente oppure a un DJ per far girare i suoi prodotti e promuoverli ed il gioco è fatto!
E fu allora che la rottura dei coglioni di O’Rahilly raggiunse livelli tanto sublimi da generare un maremoto.
A questo punto, buona parte degli esseri umani si sarebbe limitata ad un sonoro Ma andate tutti a fanculo!.
O’Rahilly invece no, e come ogni folle visionario che si rispetti decise piuttosto che fosse giunto il momento di sovvertire le regole e capovolgere quel sistema del cazzo.
L’unico modo per dare un colpo decisivo alla situazione era dar vita ad una sua emittente, che non fosse piegata e plagiata dal potere delle regole discografiche e che – prima di tutto – fosse esente dalle limitazioni poste dal governo. La strada più consona per assicurare entrambe le istanze prendeva ispirazione dalle stazioni pirata che trasmettevano illegalmente e senza licenza.
Ma serviva ancora un’importante garanzia: farlo in acque internazionali, al largo da qualsivoglia incatenamento legislativo e dove ogni restrizione sprofondava negli abissi.
Condivise il suo proposito di radio offshore con un piccolo gruppo di investitori che decisero di finanziarlo e grazie all’aiuto del padre, riuscì nella follia di procurarsi una nave, che venne immediatamente battezzata Radio Caroline in omaggio alla secondogenita del presidente americano allora in carica, J.F. Kennedy.
Andava ora inserito un ultimo importante tassello, il cuore pulsante dell’operazione: recuperare dei Disk Jockey disposti a lavorarci. Contro ogni previsione non fu per nulla complicato, e non appena la voce si sparse le richieste fioccarono diventando addirittura spropositate.
Vennero selezionati dei giovani pirati pronti alla guerriglia musicale che, senza pensarci su due volte, salparono subito all’avventura riscrivendo le regole della diffusione musicale.
Attraccata al largo delle coste dell’Essex, il 27 marzo del 1964 Radio Caroline mandò in onda la sua prima trasmissione, e non fu un caso se il primo pezzo a risuonare all’interno di quell’ammasso di ferraglia fu It’s All Over Now dei Rolling Stones, che prendeva a sculaccioni la BBC con una più che pacifica provocazione.
Dopo un primo periodo di assestamento, la programmazione di Radio Caroline brillava per un complesso palinsesto ricco di contenuti musicali e discorsivi che coprivano interamente tutte e ventiquattro le ore di una giornata, al contrario di quanto accadesse per le sue competitor.
Per di più era totalmente scevra da regole, irriverente, coraggiosa, oltraggiosa.
Dietro i suoi microfoni potevi dire quel cazzo che volevi, oltre a selezionare i pezzi che ti pareva e quando ti pareva.
Altra grande innovazione di Caroline fu la concessione degli spazi pubblicitari (cosa fino ad allora estranea alla radio), e venivano spesso organizzati giochi a premi per coinvolgere attivamente il pubblico.
Radio Caroline ospitava DJ e collaboratori essenziali al funzionamento e alla manutenzione della nave, e circa una volta al mese erano permesse visite da parte di fan, di giovani donzelle che spezzassero la solitudine e dei soggettoni che ti smerciavano l’erba.
Molti anni dopo il successo di Radio Caroline, il celebre DJ Johnnie Walker rivela sogghignante al The Guardian di avere una bella storia sulla droga e si abbandona al racconto di un aneddoto legato alla sua fidanzata di allora, una ragazza irlandese di nome DeeDee con la quale viveva a Kilburn [n.d.r. zona a nord-ovest di Londra] durante i periodi di pausa dalla radio. Nel bel mezzo di una conversazione, DeeDee seppe che inizialmente nessuno fumava erba a bordo e pensò che Walker dovesse proprio annoiarsi a morte! Così, afferrate erba e cartine, gli girò al volo tre canne e aggiunse:
“Beh, se ne vuoi ancora io ascolto sempre la radio intorno alle nove e mezza. Dici solo che hai finito il tè e te ne farò avere delle altre.“
Dopo che Walker si sballò con alcuni colleghi, allo spettacolo delle nove e mezza – in scioltezza – lanciò il messaggio in codice: Voglio solo dire buona sera a Dee a Kilburn, e abbiamo finito il tè, amore.
Uno sballo che comunque gli offrì tanta di quella spigliatezza e carica da procurargli una velocissima fama.
Il diario di bordo del 1966 registrò addirittura il matrimonio del noto speaker Mick Luvzit con Janet Terret, trasmesso anch’esso via radio e seguito con enorme pathos da milioni di ascoltatori che vissero quel momento con lo stessa tenerezza con cui avrebbero guardato un fratello o un amico sull’altare, accanto alla donna che ama.
Radio Caroline era sostanzialmente un mezzo rottame, non ci sono modi più eleganti di dirlo.
Ma se il rock, nell’immaginario collettivo, incarna colossali modelli di rivoluzione, questa sicuramente ne era la rappresentazione in ferro, bulloni e sì, anche ruggine.
Dreaming is free, cantava Debbie Harry dei Blondie. Per sognare non devi sborsare denaro, è alla portata di tutti e puoi farlo come e quando ti pare; tradurre un sogno in realtà richiede invece una gran dose di palle – giusto per rimanere in tema – e quella giusta dose di audacia che ti faccia pensare fuori dagli schemi, come se tutto sia possibile. Soprattutto quando lo decidi tu e alle tue cazzo di regole.
Ed era precisamente questa la forza di O’Rahilly e della sua creatura.
Perciò nessuno stupore che Radio Caroline riscosse il consenso di così tante persone e raggiunse risultati esaltanti nel giro di pochissimo tempo: rispettava e seguiva i tempi storici che stava vivendo, tendendo una mano ai giovani e al progresso che si stava verificando all’interno del gusto musicale.
Chi avrà ascoltato Radio Caroline avrà sentito sicuramente l’adrenalina del cambiamento scorrergli su per le vene. Che fossero rintanati sotto le coperte lontano dall’orecchio vigile dei genitori, affondati sul divano dopo ore di massacrante lavoro, mentre si facevano una canna sciolti ad accarezzare una moquette lercia in pieno gusto british oppure, ancora, a condividere il materasso con la dolce metà di una notte, ognuno di loro aveva storie profondamente diverse… eppure, è magico il pensiero di come tutti quanti fossero riusciti a sintonizzarsi su di una frequenza universale: quella del rock nudo, crudo e soprattutto libero.
Tra alti, bassi e varie chiusure, Radio Caroline ha tenuto sempre botta nel corso degli anni.
È possibile ascoltarla ancora oggi in web streaming e darle tutto il nostro supporto!
APPROFONDIMENTI
- SITO UFFICIALE:
• Radio Caroline UK
• Streaming diretto di Flashback, programma revival dedicato ai segaioli del pop 60s e 70s
- CINEMA:
• I Love Radio Rock – The Boat That Rocked, regia di Richard Curtis, 2009.
- LIBRI:
• Radio Caroline: The True Story of the Boat that Rocked – Ray Clark, ed. The History Press Ltd, 2019
• The Radio Caroline Bible: The Life and Times of the world’s most famous offshore radio station – Paul Rusling, ed.World of Radio – 2019