Cosa serve per poter essere una società equa ed inclusiva? È sufficiente parlare di diritti? Ci sono diritti di serie A e diritti di serie B? Diritti mainstream?
Sono numerose le lotte per i diritti di cui si sente parlare ogni giorno. Parità di genere, diritti della comunità LGBTQ+, campagne contro ogni qualsivoglia forma di discriminazione sono solo alcune delle tematiche che riempiono le nostre discussioni virtuali e al pub. Ma non vi sembra forse di dimenticare troppo di sovente qualcuno?
I corpi che non servono la macchina capitalista sono stati a lungo etichettati come malati, bisognosi di essere corretti, isolati o annientati per mantenere la salute della società. L’inclusione nella disabilità è una condizione essenziale per la salvaguardia dei diritti umani, ma anche per lo sviluppo sostenibile, la pace e la sicurezza.
Le crisi complesse che l’umanità deve affrontare oggi, di cui la pandemia di COVID-19 e la guerra in Ucraina sono solo la ciliegina sulla ciliegina (sulla ciliegina sulla ciliegina sulla ciliegina sulla ciliegina …) sulla torta, ci mettono davanti a sfide umanitarie senza precedenti, senza contare le continue minacce all’economia globale. E vai di recessione!
Le persone vulnerabili, tra cui le persone con disabilità, sono le più escluse – nonostante il presupposto fondamentale della ormai famosa Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile di non lasciare indietro nessuno.
Stando alle dichiarazioni del segretario delle Nazioni Unite António Guterres: The cornerstone of this cooperation must be the active participation of persons with disabilities in their full diversity, and their full inclusion in all decision-making processes. (trad. La pietra angolare di questa cooperazione deve essere la partecipazione attiva delle persone con disabilità nella loro piena diversità e la loro piena inclusione in tutti i processi decisionali.)
Nel dicembre del 2006 l’Assemblea delle Nazioni Unite ha approvato – udite udite – la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, che, nonostante il lunghissimo ed altisonante nome, è il testo guida per la tutela e la garanzia di inclusione ed uguaglianza ai disabili.
Il contributo fondamentale dovrebbe arrivare dai governi, dal settore pubblico e quello privato, perché trovino collaborando tra loro soluzioni innovative per e con le persone con disabilità così da rendere il mondo più accessibile ed equo. Sogno? Utopia?
Pare proprio di sì se si considera che, in verità, il cambiamento più importante dovrebbe svilupparsi dalla viva e dinamica società – quel concetto astratto impalpabile, ma pulsante, composto da persone meschine e mediocri che possono facilmente rendere la vita del prossimo un inferno.
Ma oggi sembra quasi impossibile che qualcuno venga preso in giro per la propria condizione di disabilità, eppure esiste una forma di discriminazione sottile, ma ugualmente efficace: l’abilismo. Ne avete mai sentito parlare?
L’abilismo è il comportamento discriminatorio nei riguardi delle persone disabili.
La parola viene dall’inglese ableism, e riguarda sia le azioni più clamorose, come impedire l’accesso a luoghi o informazioni a causa di barriere architettoniche, che quelle più sottili e meschine, come ad esempio usare il nome di determinate disabilità per offendere, così come usare termini con connotazioni negative per parlarne. In buona sostanza, l’abilista descrive le persone definendole unicamente per la loro disabilità, imprigionandole in certi stereotipi. Dire ad una persona disabile Sei coraggioso, perché io nelle tue condizioni non ce la farei è umiliante, ma soprattutto NON è UN COMPLIMENTO. Si tratta di fatto di una microaggressione che fa sentire diversi e sfigati. Un po’ come dire ad una donna grassa Hai un bellissimo viso.
Molte persone lottano contro l’abilismo, dimostrando che la condizione di disabilità emerge da più fattori, non soltanto di carattere biologico ma anche sociali, e che discriminare degli individui che hanno diverse funzionalità fisiche, cognitive ed intellettive è parte del problema. Combattere l’abilismo significa combattere l’ignoranza.
Una delle attiviste e youtuber più seguite è ad esempio Giulia Lamarca che nel suo canale YouTube racconta le difficoltà, ma anche la sua vita quotidiana da persona sulla sedia a rotelle. Giulia, col sorriso sulle labbra e una gentilezza disarmante, si batte da molti anni per i diritti dei disabili – ad esempio il diritto di prendere l’aereo, negato a causa della mancanza di bagni accessibili sugli aerei.
Ma non solo i divulgatori su YouTube parlano di disabilità, anche moltissimi artisti disabili fanno della loro esperienza personale un buon motivo per sensibilizzare o semplicemente donano il loro punto di vista al mondo.
Tra i miei preferiti ci sono gli scrittori inglesi Jen Campbell e Raymond Antrobus – autori di straordinarie poesie; ma anche il poeta ucraino, naturalizzato americano Ilya Kaminsky.