Quando si parla di diversità, spesso si immaginano differenze visibili: colore della pelle, genere, cultura. Ma la vera sfida sta nel comprendere che la diversità è molto più di un’etichetta: è un modo di pensare, di agire, di vedere il mondo. E troppo spesso, la società tende a uniformare ciò che invece dovrebbe valorizzare.
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Anche per questo motivo, non è facile riuscire a parlare di questo tema. Soprattutto in un momento storico come quello in cui stiamo vivendo, nonostante le spinte “diverse” si facciano sempre più sentire per poter finalmente far conoscere la propria voce, il mondo esterno tende sempre di più a silenziarle, a uniformarle, a far finta che tutto quello che “devia” in un certo qual modo da quella che è considerata la “normalità” non sia “la giusta via”.
Non è un caso che le parole siano state scritte tra virgolette: in fondo, chi è che decide cosa è “normale”? La società? I governi? I potenti? E chi siamo noi, soprattutto, per giudicare? Non ha in fondo, ognuno di noi, un aspetto che, unico nel suo genere, potrebbe essere considerato perlomeno particolare dagli altri?
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L’avvento di partiti di destra ed estrema destra in molti Paesi in Europa e nel mondo sembra avere portato ad un atteggiamento sempre più diffidente nei confronti del diverso. Il neoeletto presidente statunitense Donald Trump ha apertamente dichiarato guerra alle politiche DEI (diversity, equity and inclusion) negli Stati Uniti, dichiarando infervorato che esistono solo due generi: uomo e donna; i partiti di destra al potere ormai nella maggior parte degli Stati del mondo criticano più o meno apertamente l’ampliamento dei diritti delle persone LGBTQIA+ e delle donne e ragazze, quando non lo ostacolano; e che dire, poi, degli invisibili più invisibili di tutti, le persone che hanno delle malattie, o delle disabilità. Non trovano posto in televisione e nei telegiornali e vengono spesso relegati ai margini della società. Sarà anche forse per questo che il film “Nata per te”, che racconta la storia di Luca Trapanese, single omosessuale che decide di adottare una bambina con la sindrome di Down, nonostante abbia ormai quasi tre anni è stato pubblicato solo da poco sulla piattaforma di streaming Netflix e abbia ricevuto una scarsissima copertura mediatica finora.
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Come si può invertire questa rotta, questa deriva della società che si rifiuta di vedere accanto a sé il diverso, molto probabilmente, perché ne ha paura? In fondo, tutto quello che è altro da noi ci mette un po’ di timore, così come tutto quello che non possiamo controllare in un modo o nell’altro.
Basterebbe, in fondo, abbandonarsi una volta tanto alla scoperta del diverso da sé, dell’alterità, non per lasciarsi fagocitare, ma per arricchirsi come essere umano. E la ricchezza che si guadagna così, quella, non potrà mai portarla via nessuno.