Piume e rivoluzione sessuale, this is glam rock!

Confesso che l’ultima volta che ho sentito la libertà scorrermi nelle vene mi reggevo a stento su un paio di zeppe cosmiche e gigantesche che sapevano vergognosamente di anni Settanta ed il profumo di zagara che passava da sotto le falde del cappello mi sembrava ragionevolmente l’unico motivo per essere in vita, quella notte. Non posso giurare se fosse colpa o merito del fatto che avessi bevuto come il più tenace dei pescatori d’Arimatea ai tempi in cui Gesù si trastullava nel tramutare l’acqua in vino (è questo che fanno i supereroi, no?), ma ricordo precisamente di aver camminato senza barriere, con la gente lontana dalle palle e la città che pareva starmi sul palmo della mano.
A completare il quadro, “All the Young Dudes” – pezzo scritto da David Bowie per i Mott the Hoople – canticchiata tra un colpo di tacco e l’altro.
Ed è questo di cui voglio parlare oggi: una storia fatta di zeppe, libertà e sana rivoluzione culturale!

[O della sfortuna di essere nato struzzo nel 1970.]


a.D. 1972: Ziggy Stardust poggia per la prima volta piede sulla Terra. Ancora non lo si sapeva, ma da quel momento in poi la storia del rock avrebbe cambiato definitivamente i suoi connotati. L’alter ego a cui David Bowie aveva dato vita incarnava una rockstar androgina e pansessuale che, servendosi di una figura eccentrica e chitarre distorte assolveva il compito – assieme ai suoi Spiders from Mars – di portare alla razza umana un messaggio di amore e speranza, oltre a profetizzare la venuta di Starman, astronauta a cui spetta il compito di salvare il nostro pianeta. Lo stesso alter ego che Bowie fece morire poco dopo, ma un poco che tutto sommato poteva dirsi sufficiente a decretare un decisivo punto di rottura col passato ed ispirare un gran numero di ragazzi. This is Glam Rock!

Se vivevi nella Londra dei primi anni ’70 era impossibile non notare stormi di giovani di ambo i sessi che vagavano per le strade mentre zompettavano con le loro platform shoes ai piedi (ovvero le scarpe con la zeppa), abbigliamento fasciante che metteva in risalto anche le curve più scabrose e del vistoso make-up, figure così rarefatte che parevano appena uscite da un clima di sogno e che stonavano di brutto poste di fianco all’anonimato del pendolare in abito dalle linee sobrie e claustrofobiche e della sciura british che – stretta in un cappotto destinato a durare per una vita o quasi – correva indaffarata a comprare le pere al mercato per poi fare ritorno a casa a prendersi cura dei figli e dedicarsi al compiacimento del marito. Non risulta quindi difficile immaginare che, ad uno sguardo più “datato”, una simile visione suscitasse in prima istanza un moto di turbamento e rappresentasse concretamente il risultato della decadenza di un’epoca.
L’angoscia dei conservatori era così densa da intasare pesantemente l’aria più di quanto avrebbe potuto fare il fumo di tutte le fabbriche d’Inghilterra messe insieme, ed il timore che l’acquisizione di costumi che trasudavano libertà sessuale e dichiaravano guerra aperta al Sacro Valore della Decenza stava diventando un problema che non era più possibile ignorare.

Volendolo contestualizzare, questo divario era inevitabile e traeva origine da profonde diversità storiche e sociali tra le due fazioni: la generazione precedente aveva subito in maniera diretta l’orrore del nazismo e tutto ciò che ne conseguiva. A questo, poi, si addizionava il fatto che la società fosse saldamente ancorata a dei forti valori sessisti imposti dal sistema patriarcale.

Senza troppa sorpresa, fino a quel momento era stata sdoganata una figura di uomo incentrata sulla tipica mascolinità , frutto della solida disciplina fornita dalla militarizzazione, o piuttosto il ragazzaccio alla James Dean che, attenendoci alle linee mentali di quel periodo, si può sintetizzare rozzamente coi tratti strutturali dell’uomo sentimentalmente imperturbabile, che si sporca e fa a pugni e che, immancabilmente, fa capitolare ogni donna ai suoi piedi.
Anche il rock degli arbori era fortemente legato a principi della stessa risma, esponendo anche qui una iper-mascolinità che aveva adottato come suoi inconfondibili simboli il blue jeans e le giacche di pelle. Per non parlare dei movimenti pelvici di Sua Maestà Elvis, che non mi sento di escludere siano riusciti nell’eccezionale impresa d’ingravidare buona parte della popolazione femminile mondiale soltanto attraverso uno schermo che trasmetteva in bianco e nero.
Elvis può tutto.
T-U-T-T-O.

Elvis Presley

Perciò sembra quasi chimerico pensare all’incredibile salto evoluzionistico che si sarebbe verificato di lì a poco grazie al movimento hippie esploso negli anni Sessanta e che si premurava di promuoveva ideali di pace e fratellanza in opposizione alla guerra (del Vietnam, in quel caso), l’amore libero e l’utilizzo di droghe psichedeliche per raggiungere l’agognata alterazione mentale e far librare il proprio Es, Io e Super-Io.

Nel frattempo i Beatles avevano decretato la fine di un’era abbandonando i loro rassicuranti caschetti e facendosi crescere i capelli, mentre Mick Jagger e Robert Plant accendevano l’eros del loro pubblico con movimenti sinuosi ed erotici. I Kinks, dal canto loro, nel 1970 presentavano al mondo “Lola”, un pezzo dall’atmosfera surriscaldata dalla calorosa chitarra resofonica del cantante Ray Davies e di cui lui stesso ha scritto il testo in cui tesse la storia di un ragazzo che si ritrova a bere in un club di Soho ed il cui destino s’incrocia a quello di Lola, con la quale si sollazza a bere e ciarlare e dal cui fascino si fa letteralmente investire al punto che – nonostante i numerosi indizi che però s’intervallavano ad una ingente quantità di alcool, sbattimenti di ciglia e ammiccamenti – non si accorge che Lola è in realtà un uomo, se non quando finiscono a fare gli sporcaccioni a casa di lei. Ma la cosa pare non sconvolgerlo, e Lola assume i toni di una bella canzone che simboleggia un amore inusuale per i tempi.
Che poi, se pensi ai classici fan dei Kinks il testo era così fottutamente azzardato… ma inaspettatamente li conquistò, e così tutti loro si ritrovarono a canticchiare la frase “Girls will be boys and boys will be girls”.
La terra iniziava ad essere scossa.

The Kinks – “Lola Versus Powerman and the Moneygoround, Part One“, 1970.

Bastò poco, a questo punto, ad accendere la miccia del glam rock, che iniziava a far capolino assaporando i primi raggi di luce e già si traduceva in un vero atto di ribellione, nel giro di quella manciata di istanti che bastano a far diventare lo Ziggy di Bowie un prode condottiero.
I principali esponenti del genere che seguirono l’esempio di Bowie giocavano con un’apparenza che oltrepassava l’eccesso e non era più relegata al concetto del maschio alpha. Le star che calcavano i palchi calzavano con estrema disinvoltura scarpe con plateau e ricoprivano i propri corpi di piume, velluti, pantaloni attillati, oltre ad eccedere con glitter, rossetto e fare la loro parte nell’aggravare la penosa questione del buco nell’ozono impiegando generose dosi di lacca spray per strutturare e volumizzare anche le capigliature più flosce.
Che a volerla dire proprio tutta tutta questa estetica, a primo acchito, potrà pur sembrare una stronzata, manifestazione di volgare superficialità o diretta banalizzazione.
La verità è che, piuttosto, contribuì a destrutturare la mascolinità convenzionale.

Un forte messaggio venne lanciato anche dalla versione cinematografica del musical The Rocky Horror Picture Show con la sceneggiatura di Richard O’Brien: sebbene non fosse propriamente glam rientrava comunque in quel filone temporale nutrendosi di quelle stesse energie. Un Tim Curry non ancora trentenne portò sullo schermo il personaggio di Frank-N-Furter, un improbabile folle scienziato bisessuale e “transvestite” proveniente dal pianeta Transexual: armato di tacchi sui quali pareva volare, calze a rete e corsetto che a stento copriva l’addome, incarnò anche lui un ulteriore emblema dell’espressione di genere.

The Rocky Horror Picture Show – 1975

Tra tutti, artisti che in campo musicale hanno contribuito alla Glam Revolution come Elton John, Marc Bolan & T-Rex, Gary Glitter, Brian Eno, Slade, Mott The Hoople, Roxy Music e Sweet per citarne solo alcuni (oltre al Duca Bianco, of course), hanno finito per fare la loro parte rendendosi ambasciatori dell’altra faccia della luna, quella adombrata, che fino a quel momento in molti tenevano chiusa a chiave, al riparo da occhi indiscreti.

Marc Bolan

In casi simili è tassativamente doveroso fermarsi ad analizzare la questione.
Per capire a fondo il concetto di questo benedetto acceleratore premuto sul lato estetico è giusto operare una riflessione per cui serve sensibilità e capacità di guardare oltre a ciò che ci si presenta palesemente sotto al naso, cogliendo quella che voleva essere l’essenza autentica di questa presa di posizione espressiva che – a conti fatti – era chiaramente una estremizzazione accuratamente ricercata e voluta con lo scopo di rendere il messaggio della libera espressione di genere un’esplosione tanto potente da rompere gli argini e permettere lo scorrere del fiume.

Nei 70s il razzo del glam rock impattò violentemente con la nostra società e scosse le fondamenta di una cultura che troppo spesso stenta a concedere sprazzi di autentica individualità facendo – piuttosto – del livellamento e dell’omologazione i suoi punti di forza.
In tal senso, il glam rock ha il grande merito di aver spalancato le porte all’espressione di una sessualità assolutamente alternativa, che aspirava a ripulirsi dai pregiudizi avvalendosi di una forma che faceva leva sull’estetica ma che, più nel profondo, ha concorso alla normalizzazione di un gran numero di realtà che fino a quel momento erano state tenute ai margini e trattate come anomalie psichiche, dando corpo e voce a chi non ne aveva.

Dedicato a chi ha lottato e sta ancora lottando contro odio, pregiudizi e violenze d’ogni sorta .



Se hai bisogno di alcuni spunti di approfondimento, Radio Astrid consiglia:

  • CINEMA

    Il fantasma del palcoscenico – regia di Brian de Palma, 1974.
    The Rocky Horror Picture Show – regia di Jim Sharman, 1975.
    Ziggy Stardust and the Spiders from Mars – regia di D. A. Pennebaker, 1979.
    Velvet Goldmine – regia di Todd Haynes, 1999.

  • MUSICA

    T-Rex – “Electric Warrior“, 1971.
    Slade – “Sladest“, 1973.
    Roxy Music – “For Your Pleasure” , 1973.
    New York Dolls – “New York Dolls“, 1973.
    Suzy Quatro – “Quatro“, 1974.


  • LIBRI

    Glam Rock: Dandies in the Underworld – Alwyn W. Turner, ed. V & A Publishing (2013).
    Polvere di stelle. Il glam rock dalle origini ai giorni nostri – Simon Reynolds, ed. Minimum Fax (2017).
    Performing Glam Rock: Gender and Theatricality in Popular Music – Philip Auslander, ed. The University of Michigan Press (2006).

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