Turn On, Tune In, Drop Out.
Accenditi, sintonizzati, abbandonati.
Questa massima del Dr. Timothy Leary, così cara alla controcultura hippie, potrebbe essere la sintesi perfetta – liquida e poetica quanto basta – del fascino magnetico che si cela dietro un mezzo potentissimo, ancor prima che l’uomo conoscesse la TV e Mike Bongiorno. E pure quel gran teatrino di Sanremo, tiè!
È amarcord, ma ci fu un tempo in cui affidavamo la nostra attenzione ad un mezzo privo di schermo, lasciando che fossero le parole di uno speaker a dipingere la tela dell’immaginazione.
Quando la gestualità era tutto, e giravi la valvola a colpi di un micro-movimento alla volta rasentando l’erotismo…
I giovani – a cui noi tutti vogliamo bene – questa lussuria se la sono persa: non possono sapere che sintonizzarsi su di una frequenza era tutto fuorché rapido e t’insegnava il proverbiale controllo di un monaco shaolin, ma ecco che appena riuscivi ad afferrare l’onda perfetta, quella priva – o quasi – di disturbi, avevi raggiunto lo Shangri-La!
Sebbene questa diavoleria fosse stata inventata a fine Ottocento, le prime trasmissioni radio ebbero inizio negli anni ’20 del secolo scorso. Da quell’istante in poi, fedelmente, la radio ci ha tenuto compagnia e si è manifestata sotto mille sembianze. Come in tempi di guerra, in cui si è fatta portavoce di propaganda politica e propagatrice degli indimenticabili discorsoni del Benitone nazionale che ancora non era roteato nella giusta posizione. E tu stavi lì, a seguire con il tremolio alle ossa l’andamento della Seconda Guerra Mondiale, nella speranza che la voce che usciva dall’apparecchio non fosse sul punto di profetizzare un imminente attacco aereo proprio sulla tua testa.
Ma anche in quei pochi insospettabili tempi di pace, quando il moderno DJ raccoglieva messaggi di un frivolo amore o dei più amari tradimenti, entrambi confessati senza vergogna da dietro una cornetta.
C’è chi, attraverso una radio, è riuscito a spaventare i radioamatori americani a tal punto da farli convincere che i marziani fossero lì lì per poggiare piede sulla Terra e schiavizzare la belva umana, dopo i suoi innumerevoli spargimenti di sangue e lotte tra fratelli.
Era l’Halloween del 1938 quando Orson Welles, ai microfoni di CBS Radio Network, recitò uno sceneggiato tratto da The War of The Worlds, ispirato all’omonimo romanzo Sci-Fi di H.G. Wells uscito quarant’anni prima. Tra i primi bollettini che tuonano interrompono la trasmissione, il terrore del corrispondente che vede incenerirsi sotto ai suoi occhi quelli che alzano bandiera bianca e Welles, la cui voce si fa sempre più disperata nel reportage di uno dei pochi sopravvissuti, beh… la tragedia è servita!
Puah! Roba d’altri tempi, – starai pensando – mica che noi saremmo stati così scemi da farci intortare!
Bene, sappi allora che le interpretazioni di Welles sapevano essere magistrali.
Ed erano i primi anni Sessanta, l’epoca del pieno pionierismo radiofonico e spaziale, in cui i giovanissimi fratelli Achille e Giovanni Judica Cordiglia – appassionati di telecomunicazioni – tesero l’orecchio ai cieli di Torino scoprendo qualcosa di davvero incredibile!
Riuscirono ad intercettare quelle che parevano essere a tutti gli effetti delle voci from outer space: allestirono un piccolo studio casalingo – che poi fu traslocato in un più ampio un bunker tedesco in collina – grazie al quale captarono e registrarono i messaggi provenienti dallo Sputnik 1 e 2, oltre a quelli più sinistri dei primi cosmonauti che respiravano a fatica e venivano abbandonati lì a morire da una sempre amorevole e calorosa URSS, imprigionati nel romanticismo delle stelle del firmamento ed in gabbiotti più piccoli e angusti di un monolocale di Milano.
Attorno alle voci spaziali aleggia ancora del mistero, nessuna conferma e nessuna smentita. Che le si voglia o meno ascoltare in questa chiave, rievocano a prescindere l’essenza di un vuoto cosmico penoso e abissale dal quale l’essere umano prova continuamente a sfuggire.
[Spoiler – Non ci riesce quasi mai.]
Nel medesimo momento storico, dall’altro capo del mondo, la rivoluzione radiofonica veniva fatta da acque internazionali e sparata a frequenze di fiori e (soprattutto) cannoni: erano gli anni d’oro delle radio pirata, di cui Radio Caroline è forse il caso più famoso [n.d.r. qui puoi leggere l’articolo che ne parla] e ha dato respiro alla corruzione dell’industria musicale, inglobata nel perbenismo delle canzonette a modo.
Ai suoi pirati dobbiamo la libertà di ascoltare quello che ascoltiamo oggi, con particolare riferimento alla roba di qualità, diritto che dovrebbe dirsi vitale per chiunque e che oggi viene portato avanti da Mixo e Luca De Gennaro nel programma Capital Records pt 1.
Dobbiamo loro anche l’emancipazione di un linguaggio più libero e all’occorrenza spinto, e quella sana ribellione di trattare tematiche reputate scottanti come hanno fatto l’irriverenza di Howard Stern – ti consiglio il film biografico Private Parts – e quella di Cruciani e Parenzo de La Zanzara in onda su Radio24.
C’è poi chi non si è limitato a trasmettere da acque scevre da restrizioni o ricercare il favore degli astri ed anzi, come un moderno Orfeo, ha osato spingersi decisamente più al di là… precisamente, nell’aldilà vero e proprio! O qualsiasi cosa tu creda che possa essere.
La metafonia è una forma di stregoneria tutta valvole e congegni che capta voci spiritche, dove medium armati di registratori o – come nel nostro caso – apparecchi radio intercettano voci in frequenze AM a cui, con molta fantasia, attribuiscono messaggi divini declinati in cori angelici, voci di bambini mai nati, cari defunti e altri emissari del Signore. Un ascolto per anime interdette, una pareidolia sonora in cui è il sensitivo a pilotare il discorso e porre l’accento sul carattere profetico della conversazione, attribuendole i valori che più gli convengono.
Nota a margine: al sensitivo non far sapere che, con estrema probabilità, ad essere intercettate sono le voci di qualche radioamatore o programma con segnale debole. O forse già lo sa, ma se dubiti sei ugualmente un contestatore e ti becchi le maleparole.
Perché ci lucra, diciamolo. E diciamo pure che il più delle volte – ma senza malizia, claro– ne approfitta per lanciare i suoi messaggi e crearsi così una nutrita schiera di adepti. Queste genti però non le linko, altrimenti mi denunziano in blocco anche se non ne avrebbero il diritto morale.
Lascio piuttosto che a parlare sia Massimo Polidoro, giornalista e divulgatore scientifico oltre a segretario nazionale del CICAP, organizzazione che in più di un’occasione ha preso in esame questi fenomeni con i risultati che tutti quanti sospettiamo.
Io, però, non biasimo chi si arroga il diritto di credere in qualsiasi cosa gli garbi, siano pure spiriti di unicorni che lanciano messaggi interstellari.
Invece mi piacerebbe farti rivivere quella seduzione chiamata radio, in ogni sua goccia di purezza.
Metti in pausa Spotify, assapora il ritmo lento della programmazione radio notturna.
Magari quando ti è difficile dormire perché sei esasperato dai pensieri, e lo sguardo si perde sonnolento a vibrare al ritmo della luce di un lampione che fa capolino dalla finestra.
Sciogli i muscoli e fondili al materasso, fatti cullare da una voce calda e amichevole come quella di Alessio Bertallot di B-Side per Radio Capital, tra il racconto di qualche aneddoto e l’incurvarsi di melodie perse nello spazio e nel tempo.
Adesso sei pronto…
Turn On, Tune In and Drop Out !