Shunga: la sfacciata primavera dei lussuriosi piaceri del sesso giapponese!

Nella metà del XIX secolo, con la restaurazione Meji, il Giappone si aprì all’Occidente e a nuove influenze. Come il paese del Sol levante decise di importare e aprirsi all’arte occidentale, così, l’Occidente, tramite i nuovi scambi con l’Oriente, conobbe l’arte giapponese. Gli artisti del nostro continente, non solo ne trassero spunto per le proprie opere, ma iniziarono ad andare a caccia di cineserie per collezionarne i pezzi più rari. Fra gli oggetti prediletti: le stampe giapponesi

Tutti conosciamo le famose stampe giapponesi Ukiyo-e (immagini del mondo fluttuante), che tanto hanno ispirato e affascinato i pittori di fine ‘800, da generare quel fenomeno culturale ed artistico denominato Giapponismo che ha portato alla nascita di Impressionismo ed Espressionismo. Non tutti, però, conoscono un altro genere di stampe giapponese, contemporanee a quelle del mondo fluttuante e da esse derivate: le Shunga (immagini della primavera). Le ukiyo-e fiorirono nel periodo Edo (1603-1868) e il termine di immagini fluttuanti, deriva loro sia come riferimento all’impetuosa cultura che li ha prodotti, ma, principalmente, dallo stile di pittura bidimensionale, dal tratto veloce, dai colori vivaci e dall’assenza del chiaroscuro che li contraddistingueva. Il loro prezzo contenuto, faceva si che essi circolassero anche fra la popolazione giapponese meno abbiente, in quanto, il fatto che fossero economici, li rendeva un alternativa ai dipinti più costosi. I soggetti più in voga fra gli artisti erano paesaggi e scene di vita contadina. Ma molto popolari diventarono, soprattutto, le scene ambientate nelle case di piacere: le Shunga

Kitagawa Utamaro, stampa dal libro Il canto della voluttà. 1786
Kitagawa Utamaro, stampa dal libro Il canto della voluttà. 1786
Kuniyoshi, 1829
Kuniyoshi, 1829
Katsushika Hokusai, lesbian 1820
Katsushika Hokusai, lesbian 1820
Katsushika Hokusai, Il sogno della moglie del pescatore, 1814
Katsushika Hokusai, Il sogno della moglie del pescatore, 1814
Un uomo si diverte con 5 cortigiane, artista giappponese sconosciuto, ca.1830
Un uomo si diverte con 5 cortigiane, artista giappponese sconosciuto, ca.1830
Uomo si intrattiene con due sensuali cortigiane, Utagawa Kunisada, dalla serie Chochidori, 1828
Uomo si intrattiene con due sensuali cortigiane, Utagawa Kunisada, dalla serie Chochidori, 1828
Suzuki Harunobu, Le romantiche avventure di Man’emon,
Suzuki Harunobu, Le romantiche avventure di Man’emon,
Katsushika Hokusai, donna che si masturba guardando due donne fare l'amore
Katsushika Hokusai, donna che si masturba guardando due donne fare l’amore
Kitagawa Utamaro, Libro delle lettere, (Ehon Uikanmuri), c. 1800
Kitagawa Utamaro, Libro delle lettere, (Ehon Uikanmuri), c. 1800
Torii Kiyonaga
Torii Kiyonaga
Toyohiro Utagawa
Toyohiro Utagawa
Keisai Eisen
Keisai Eisen

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Con Shunga si è soliti indicare xilografie, dipinti erotici, stampe e libri per l’autoerotismo e l’educazione sessuale dei giovani. La parola Shun ‘primavera’ nel nome di queste opere, è di fatto un eufemismo per indicare sia l’eros che la tensione spirituale nel rapporto sessuale, poiché esse celebrano il piacere, in un modo molto lontano dalla nostra idea di erotismo e senza le sovrastrutture occidentali che lo demonizzano. La sessualità viene rappresentata con naturalezza, senza malizia: celebrata senza pudicizia, con immagini dettagliate ed esplicite, serenamente vissuta come lo è nella cultura giapponese. 

Le stampe erano una riflessione etica ed estetica sulla brevità e transitorietà della vita, riflesso dei valori del ceto borghese delle grandi città del tempo. I borghesi (medici, mercanti, artigiani e artisti), seppur economicamente agiati, erano esclusi dalla vita politica che era in mano all’austera classe dei samurai. Essi alla rigida morale conservatrice dei samurai, opponevano una concezione edonistica della vita in cui venivano raffigurati il lusso, le feste, gli spettacoli teatrali e le case di piacere dove i borghesi godevano della compagnia di donne esperte nelle arti, nell’ intrattenimento e nel piacere. La fugacità del rapporto sessuale e dei piaceri della carne non è considerata peccato, al contrario raggiunge il più alto grado di sacralità nel momento dell’unione. Se per noi occidentali, queste opere possono lasciare interdetti perché quasi al limite della pornografia, qui l’amplesso dal basso della corporeità, passa all’alto della dimensione spirituale del sublime che, nel momento dell’orgasmo, raggiunge il suo apice. 

All’abilità artistica si univa una necessità pratica sia per gli uomini, sia per le donne. Non si sa quale fosse il loro scopo originario, nel momento della loro massima fioritura gli shunga erano utilizzati dalle prostitute per mostrare ai clienti i servizi offerti e farli eccitare, ma in altri contesti, oltre che  al divertimento dei giapponesi, servivano per l’educazione dei giovani, non ancora iniziati ai rapporti intimi.

Non di rado, erano utilizzate come materiale pornografico per gli uomini e come immagini erotiche da regalare alle donne in età da marito affinchè imparassero cosa fosse il sesso e sapessero come comportarsi durante un rapporto sessuale. Sia le stampe ukiyo-e, sia le shunga non erano opere a sé stanti, ma illustravano libri o erano raccolte in album. Questi libri comprendevano un insieme di illustrazioni non legate l’una all’altra, costringendo lo sguardo e l’attenzione del lettore su ognuna di esse e prolungare il godimento. Ogni illustrazione era accompagnata da un breve dialogo, come dei fumetti ante litteram. Erano, infine, dotati di una breve introduzione, firmata da autori di fantasia, spesso noti letterati. Purtroppo, però, sono rimaste più le stampe che le opere letterarie che le corredavano. 

Un esempio di dialogo che corredava gli shunga era questo: 

L’UOMO: “Non male, nevvero? Anch’io godo. Sto per esplodere. Sto per versare una scodella intera!”

LA DONNA: “Tu godi e godo anch’io. Aaah!Vengo! Non è questo il momento di lasciarmi, ecco, stringimi più forte!”.  

Katsushika Hokusai, Il sogno della moglie del pescatore, 1814

 I personaggi raffigurati dagli shunga erano, in genere, una  geisha ed il suo cliente rappresentati mentre sperimentavano diverse posizioni, anche strane e sfacciate. Ma, poiché, l’apertura della cultura nipponica nei confronti del sesso è sempre stata molto libera, non è raro trovare anche figurazioni di altro genere con pratiche fuori dal comune. Allora, ecco raffigurazioni di rapporti lesbo tra cortigiane (frequenti il loro protettore era lontano), o la pratica della zoofilia, come nel Sogno della moglie di un marinaio di Katsushika Hokusai, in cui una donna copula con un grosso polpo. 

Alcuni shunga, invece, presentano orge o un rapporto a tre, soprattutto, con un uomo e due donne. Un esempio, è  l’album erotico di Suzuki Harunobu, intitolato Le romantiche avventure di Man’emon. Il protagonista, Man’emon riceve da due fate una pozione che lo fa diventare piccolissimo e, grazie a questo potere, egli ne approfitta per infilarsi nelle case dei vicini e assistere alle più svariate scene di sesso. Il divertimento per il lettore stava sia nel trovare dove fosse nascosto Man’emon e nell’ assistere ai suoi scherzi, sia nel leggere i suoi commenti alle performance cui era spettatore. 

Altro tema era il voyeurismo. Se chi spiava si trovava lì per sbaglio, era raffigurato dietro un pannello leggermente scostato, mentre guardava i due amanti che, invano, avevano cercato di nascondersi per lasciarsi andare al sesso più spinto. Se, invece, assisteva volontariamente, lo vediamo masturbarsi o unirsi alla coppia. Caratteristica distintiva degli shunga giapponesi è la rappresentazione degli organi sessuali, soprattutto maschili, in dimensioni enormi. Ciò avviene sia per avere un effetto caricaturale, sia per attirare interesse attraverso un realismo non realistico. Inoltre, serve a simboleggiare la potenza sovrumana del piacere in una connotazione esoterica.

Toyohiro Utagawa

Nel Giappone antico, infatti, gli organi sessuali, soprattutto se femminili, erano venerati come oggetti sacri che ospitavano il potere del Buddha, e l’enigmatica saggezza della dea della pietà Kuan Yin, in cui egli si manifestava. In tali rappresentazioni, si ritrova, dunque, il credo animistico del Giappone antico. Nonostante ciò, è raro trovare negli shunga personaggi completamente svestiti. I giapponesi, erano abituati alla nudità poiché ai bagni pubblici e alle terme uomini e donne partecipavano insieme, senza trovare la cosa oscena o provocante. Il vedo/non vedo e lo scoprire cosa ci celasse dietro l’intimità di una coppia, era molto più sensuale ed eccitante. Tutto nel profondo rispetto per qualsiasi tipo di sessualità e in un rapporto paritario tra uomo e donna. 

I primi shunga risalgono al periodo Heian (794-1185) ed erano riservati soprattutto agli ambienti di corte. Sorse in Giappone uno stile pittorico autoctono, lo Yamato-e (Yamato era la regione culla della civiltà giapponese), soprattutto per opera di Koseno Kanaoka, attivo alla corte imperiale agli inizi del IX secolo. Secondo la tradizione, a lui si deve la formalizzazione del canone shunga. Si racconta che avesse chiesto alla moglie un giudizio su una shunga che aveva appena dipinto, ed ella rispose che il disegno era eccellente, ma impreciso. Durante il rapporto sessuale, le dita dei piedi della donna si piegano ed i suoi occhi sono socchiusi. Solo rappresentando particolari come questi si poteva dire che l’atto amoroso fosse stato fedelmente riprodotto. Su suggerimento della moglie, Kanaoka introdusse nelle sue scene erotiche questi segni dell’estasi, che divennero modello per i pittori dopo di lui. Probabilmente ispirati a modelli cinesi, gli shunga, erano dipinti su rotoli di carta. All’inizio del XII secolo la scuola di pittura Kano stilò un insieme di regole sull’estetica dell’arte shunga. Che dei pittori di corte, in un monumentale trattato accademico di teoria della pittura, descrivessero le tecniche delle shunga testimonia che esse erano considerate un filone delle belle arti, per qualità e valore pari alle ukiyo-e. Vennero stabilite le gradazioni di colore con cui dovevano essere stampati i genitali maschili e femminili e per il resto dell’opera venne stabilita anche la convenzione di rappresentare dodici scene amorose, simboleggiando i mesi dell’anno. 

Nella prima metà del XIX secolo, grazie a Suzuki Harunobu, le opere diventarono completamente policrome e, per le più lussuose, si giunse all’utilizzo dai quindici ai diciassette colori. Ciò avveniva attraverso l’incisione di altrettante matrici in legno. Le matrici, che erano molto complesse da realizzare, erano affidate ad abili incisori, su indicazione e guida degli artisti che avevano realizzato i soggetti. Le ambientazioni delle scene erano lussuose dimore, case da tè, bagni pubblici, barche, campi, stanze da letto o luoghi all’aperto.

L’arte shunga divenne così un vero e proprio genere artistico. Essa diventerà componente della cultura dei ceti sociali in ascesa e sarà soprattutto con Utamaro, all’inizio del XIX secolo, che raggiungerà la piena maturità, nonostante l’intervento censorio del governo che promulgò due editti (1793 e 1798) di severa regolamentazione, non solo per i contenuti, ma anche per i colori, ridotti a due o al massimo tre. Ma ciò non fermò la fioritura delle shunga, per opera di grandi artisti come Kitagawa Utamaro (1753-1806),Torii Kiyonaga (1752-1815), Katsukawa Shunsh (1726-1792) e altri. 

Con la rinascita culturale di Edo, emerse una scuola di nuovi artisti : Utagawa Toyohiro (1735- 1814) e i suoi allievi: Keisai Eisen (1791-1848) , Ichiryusai Hiroshige (1797-1858) e  Katsushika Hokusai (1760- 1849). Con la fine dell’età Edo, venne meno l’isolamento in cui il Giappone aveva vissuto per due secoli e vennero soppressi lo shogunato e le caste feudali, dando il via alla modernizzazione del Giappone. Ciò purtroppo, portò la messa al bando, nel 1873, elle ukiyo-e e delle shunga. Tali divieti, tuttavia, non intaccarono la produzione di dipinti erotici. Solo con l’avvento della fotografia, le shunga iniziarono il loro declino. Contemporaneamente, approdarono in Europa, scandalizzando e destando curiosità. Esse influenzarono artisti come Van Gogh, Manet, Degas, Picasso e Renoir, suscitando l’interesse di letterati come Goncourt e Huysmans e divenendo oggetto ambitissimo di grandi collezionisti europei e americani. Sono considerati a tutti gli effetti gli antenati dei manga erotici. 

Importante passaggio per la storia del fumetto, tutt’ora continuano ad ispirare le varie forme d’arte giapponese. La loro influenza è infatti visibile su manga, anime, tattoo e altre forme culturali popolari. Ma la loro fortuna è continuata anche per la critica ed il pubblico occidentale. Molti i musei che li hanno introdotti nelle loro collezioni e molte le mostre a loro dedicate.

Fonti consultate

Gabriele Stilli, Shunga: l’arte giapponese dell’eros, lasepolturadellaletteratura.it;

Utamaro, Il canto delle voluttà, Es editore, 2008; 

Franco Morena, Arte Giapponese, collana artedossier, Giunti editore, 2017;

Alberto Grasso, Shunga: sesso e piacere nell’arte giapponese, e-coolture.it;

Silvia Ferrari, L’eros nell’arte giapponese: le ardite immagini degli shunga, frammentirivista.it;

Carlo Franza, Shunga. Sesso e piacere nell’arte giapponese. Al British Museum di Londra visitabile fino al 5 gennaio, una collezione di opere che datano dal 1600 al 1900 e celebrano l’arte erotica giapponese, blog.ilgiornale.it. 

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