*In copertina, “My Garden” (particolare) , “Onirica series” – Atelier Arabesque/Laura Li
“È solo per un eccesso di vanità ridicola che gli uomini si attribuiscono un’anima di specie diversa da quella degli animali.”
~ Voltaire
Cos’è che differenzia l’uomo dall’animale?
Se dovessimo attenerci alla Bibbia, gli animali sono doni del Signore e l’uomo è il loro custode, questi non vanno maltrattati ma curati, come il pastore con le sue pecore (Ez 34,16). Che poi la cura a cui ci si riferisce preveda anche qualche piccolo sacrificio qua e là a compiacimento della divinità è pura casualità. Dico, Abramo – a richiesta del Grande Capo, deciso a saggiare la sua fedeltà – stava per sacrificare il figlio di Isacco prima di venire fermato da un angelo… non ci si sorprende più di nulla.
L’antitesi uomo/animale è sempre stata ben radicata nel pensiero globale, a rappresentazione di un modello di dominio dettato dal raziocinio-power. Gli stoici vedevano una profonda discrepanza tra queste due creature: l’uomo possiede il logos che gli permette di utilizzare parola e ragione; l’animale, dal canto suo, non favella e qui la razionalità viene sostituita dall’istinto ferino, dall’impulso primordiale e selvaggio, dalla sfera irrazionale ed ingestibile.
Un filone di pensiero smaccatamente antropocentrico e, manco a dirlo, particolarmente congeniale alla filosofia cristiana in cui l’uomo è il figo del quartiere e diventa esclusivo punto di riferimento: Re del Creato, fatto ad immagine e somiglianza del suo stesso Creatore, punto focale dell’universo… vuoi mettere?! Tutto il resto non può che esistere in sua subordinazione, a suo uso e consumo.
Per fortuna è entrato in gioco l’illuminismo, che oltre a regalarci l’encyclopédie ci fa dono di diverse menti cristalline. Una tra tutte, quella del buon Voltaire, che cogita su quanto l’uomo altro non sia che uno dei tanti, piccoli elementi che concorrono alla composizione cosmica, oltre a sottolineare quanto frammenti dell’universo stesso siano presente in ognuno di essi. Allora la società umana inizia ad assumere connotati diversi, in un ruolo che la vede partecipe ma non unica verità e – soprattutto – si contraddistingue come una delle moltitudini variabili di un piano ben più vasto. Un fenomeno come tanti altri, dai.
L’ulteriore scossa viene data qualche tempo più tardi da un diplomatico yankee, tale Henry Bergh, che a molti non dirà nulla ma la cui persona si è rivelata decisiva a scagliare la pietra del cambiamento. Il nostro, in più occasioni, assistette a svariate crudeltà compiute a danno degli animali, una tra tutte vedeva un cocchiere intento ad inveire e picchiare uno dei suoi malcapitati equini, e fu qui che il Bergh levò la giacca della diplomazia per indossare il mantello da eroe frapponendosi tra i due, e mettendo fine a quell’orribile scena di violenza. A questo punto bisognerebbe tornare a domandarsi chi sia l’uomo e chi l’animale. Probabilmente fu lo stesso pensiero che attraversò la mente di Bergh, che nel 1866 fondò l’American Society for The Prevention of Cruelty to Animals (ASPCA), associazione che tuttora si occupa di far sentire la voce di chi una voce di fatto materialmente non la possiede.
Qualsiasi favola scritta per i bimbi moderni, sognatori che l’adulto ha deciso di cristallizzare in un universo di ipocrita benevolenza, finirebbe con un laconico “E vissero tutti felici e contenti“, lasciando ad intendere che ogni cosa si è risolta al meglio delle sue potenzialità e col sorriso di tutti i partecipanti. Quella immortalata dall’azienda di Thomas Alva Edison nei primi del Novecento assume le sembianze della spettacolarizzazione della sofferenza nuda e cruda.
Il protagonista è Topsy, bellissimo esemplare di elefante indiano la cui sfortuna fu quella di essere stato scelto dal circo Forepaugh come sua attrazione, e che in 28 anni di vita ha ucciso 3 persone. Questo non perché gli elefanti siano assassini, semplicemente perché andrebbero lasciati dove stanno come qualsiasi altra creatura che non vuole essere ammaestrata e tenuta in gabbia, per vivere con l’unica prospettiva di esibirsi davanti a delle bestie umane latranti ed esaltate. Pensa un po’ che gran vita di merda.
Il povero Topsy venne giustiziato pubblicamente nel Luna Park di Conney Island, con tanto di 1.500 individui accorsi per godersi la scena come fossero negli anni ’70 a bearsi dell’ultima prodezza cinematografica di John Travolta. Il primo metodo di esecuzione scelto fu l’impiccagione, se non fosse che le associazioni animaliste dell’epoca decretarono fosse un qualcosa di fin troppo barbaro. Si optò, quindi, per infliggergli una scarica di 6.600 Volt per 10 secondi. Decisamente meglio, no? Se non altro, diede ad Edison una ghiotta occasione per sbaragliare la concorrenza e dimostrare quanto la corrente alternata potesse freddare anche una ceratura che pesa tonnellate.
Un destino altrettanto misero fu quello della cagnolina Laika, randagia simbolo lacrimevole dell’URSS e dei viaggi spaziali: fu lei il primo essere vivente a finire in orbita. Chiaramente era tutto in via sperimentale, e la poveretta non sopravvisse. Morì nel suo abitacolo, per surriscaldamento, e probabilmente spaventata fino alla follia. Ma i russi le hanno dedicato qualche statua e perfino un francobollo, per onorare il suo contributo. E se si pensa che la vita di un essere indifeso sia più sacrificabile di quella di un essere umano (caro lettore, ti assicuro che a me sale il gelo anche solo a scrivere queste parole), forse si è perso di vista che siamo tutti delle creature sotto lo stesso cielo e con lo stesso diritto di vita. O, per lo meno, il diritto che non ci sia qualcuno a scegliere per noi come cazzo morire.
Questa Spettabile Redazione vorrebbe poter dire che, da allora, si siano fatti notevoli passi in avanti, e qualcuno indubbiamente c’è stato. Passa di sicuro in sordina quando si pensa che l’uomo, nella sua folle corsa antropocentrica ancora vigente, rimane dell’idea che la natura – tanto quanto l’animale circense, da spettacolo, senz’anima – sia ammaestrabile e si possa intervenire per plasmarla nel bene ed in particolar modo nel male. Un po’ come i bulldog francesi, stendardo di tutti i signorotti coi soldi che strapagano una creatura incrociata con tutti i problemi del caso per avere un cane bello, perfetto e di razza. E poco importa se la perfezione sia relativa e si tratti di un maltrattamento genetico, dato che incrocio dopo incrocio la bestiola approda a problemi respiratori. Bazzecole se si pensa che altri soldi possono comprarne un secondo, di cane, qualora il primo dovesse rivelarsi presto fallibile.
Ma tra le varie conquiste, è giusto e doveroso ricordare il circo che sfrutta animali virtuali, seppur il Cirque du Soleil abbia ampiamente dato dimostrazione di come per far divertire il pubblico bastino allenamento e bravura, e gli animali – in qualsiasi forma – non siano poi indispensabili.
Chissà, poi, cosa sarebbe frullato in testa a Gandhi se una macchina del tempo lo avesse trasportato fino alla tenuta multimiliardaria di Paris Hilton e si fosse trovato al cospetto di uno dei suoi chihuahua, vestito da principessina tra strass e attenzioni stucchevoli con le quali neppure ricopriremmo uno dei nostri figli.
Il mondo è una cloaca di eccessi e controsensi, arrabattarsi non è poi così semplice e scontato.
Ma noi ci proviamo, nel nostro piccolo, e speriamo lo faccia anche tu.
La sofferenza non ha faccia, genere, colore né altro.
Adesso fermati a riflettere: animali si nasce o si diventa?